«Ci stiamo preparando per il futuro», twitta Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, il 14 aprile, e così annuncia un nuovo negoziato per i vaccini. Bruxelles lavora a un terzo contratto con BioNTech-Pfizer, che è in effetti per il futuro: la consegna di queste 1,8 miliardi di dosi è prevista da qui al 2023. «Altri contratti seguiranno!». Gli stessi eurodeputati apprendono così, con uno sfuggente annuncio, che la Commissione ha avviato un nuovo round di negoziati. Il primo, quello che servì a gestire l’esordio della campagna vaccinale, è stato oggetto di dibattiti: le consegne mancate, gli indennizzi per gli effetti collaterali a carico dei governi invece che delle aziende, e soprattutto la mancanza di trasparenza della Commissione. Erano i primi contratti: c’erano più incertezze, bisognava approntare in fretta una risposta all’emergenza. A più di un anno dall’inizio della pandemia e a quattro mesi dall’inizio delle vaccinazioni in Europa, ci sono l’esperienza e le lezioni da trarre. Invece la nuova stagione di contratti, quella che deve garantire anche una copertura dalle varianti e che «prepara al futuro», nasce sotto il segno di altrettanta opacità. Le differenze ad ogni modo ci sono, una la svela il premier bulgaro: stavolta i vaccini ci costeranno pure di più.

Prezzi che lievitano

Boyko Borissov ha fatto trapelare che nel contratto «del futuro» una dose Pfizer costerà il 25 per cento in più: «Il costo è lievitato dall’ultima cifra di 15,50 euro a dose ai 19,50 per quelle del 2022 e 2023». Come mai? Gli europarlamentari martedì hanno chiesto conto alla Commissione della notizia che il prezzo aumenterà nei nuovi contratti, ma quest’ultima non ha voluto commentare. La tendenza al rialzo dei prezzi è da tempo nelle volontà di Big Pharma. Lo si ricava dalla trascrizione delle parole pronunciate a porte chiuse in incontri con grandi banche di investimento e investitori. Il 2 febbraio, davanti agli analisti di Goldman Sachs, Ubs, Morgan Stanley e altri, Pfizer presenta i propri risultati finanziari e traccia le prospettive. Il vicepresidente esecutivo Frank D’Amelio prevede che i prezzi possano lievitare fino a 148 euro – e 175 dollari – a dose. Negli Usa, dove il vaccino Pfizer contro lo pneumococco costa già sui 200 dollari, David E. Mitchell di Patients for affordable drugs ha stimato che i costi per il sistema sanitario Usa di una vaccinazione annuale anti Covid sarebbe di 45 miliardi di dollari, se una dose ne costasse 175 dollari; l’aumento della spesa in farmaci sarebbe del 9 per cento. Se finora una dose è costata meno, è perché – ha detto D’Amelio in quel meeting – «i prezzi vengono determinati in un contesto pandemico. Ma guardiamo oltre: otterremo prezzi più alti. Inoltre più aumenterà la scala produttiva, meno ci costerà un’unità. Perciò c’è una opportunità significativa di aumentare i margini di profitto una volta superata la fase attuale». Era febbraio. A marzo D’Amelio è alla conferenza globale sulla salute organizzata da Barclays, e dice che lo scenario sempre più probabile è quello di una terza dose del vaccino – un «booster» aggiornato rispetto alle varianti – e in futuro un richiamo annuale. «Mano a mano che passiamo da una situazione pandemica a una endemica, la determinazione del prezzo sarà dettata non da condizioni straordinarie di emergenza ma dalle normali forze di mercato. L’efficacia del vaccino diventerà determinante sia per la domanda di mercato che per la determinazione del prezzo; è una significativa opportunità per il nostro vaccino. Il passaggio da pandemia a endemia è un’opportunità per noi». Discorsi analoghi sul rialzo dei prezzi sono stati fatti agli investitori anche dalle altre aziende, come Moderna («se la situazione evolve in stile epidemia stagionale potremo chiedere un prezzo diverso») e J&J («da qui al 2022 vediamo il vaccino più come opportunità commerciale»).

Il nodo della trasparenza

Le parole di D’Amelio vanno rilette ora, alla luce di nuovi contratti. Lui ha detto agli investitori che «l’efficacia diventerà un criterio sempre più importante». Von der Leyen, dai tempi dei primi screzi con AstraZeneca, ripete che Pfizer «è un partner affidabile» e il 14 aprile ha aggiunto: «Dobbiamo focalizzarci sulle tecnologie che hanno dimostrato la loro efficacia; i vaccini mRna sono tra queste». La presidente ha parlato di «booster» per rinforzare e prolungare l’immunità. Il discorso è speculare a quello di D’Amelio: efficacia e passaggio da emergenza a situazione cronica. Non stupisce quindi se nel nuovo contratto c’è un aumento di prezzo.

Da mesi l’europarlamento, che ha il potere di bilancio, chiede a Bruxelles più trasparenza e dati dettagliati su quanti soldi sono andati a ciascuna azienda, per l’acquisto di dosi, per ricerca, sviluppo e produzione; ma la Commissione schiva la richiesta. Anche avere i contratti siglati con Big Pharma è stata una lotta, di eurodeputati e società civile. La Commissione ha pubblicato solo contratti con le parti cruciali oscurate. Sabato è grazie a un whistleblower che sono affiorati i testi completi dei vecchi contratti Moderna e Pfizer. Il difensore civico Ue ha avviato un’indagine per la mancata trasparenza di Bruxelles sui negoziati e i contratti; l’ultimo monito risale alla settimana scorsa: «Ricordiamo alla Commissione i suoi obblighi di trasparenza; deve ancora rendere pubblici i nomi dei 7 governi che hanno partecipato ai negoziati». Bruxelles comincia nuovi negoziati e contratti senza aver dato informazioni che doveva su quelli già svolti.

La lobby di Big Pharma

In Belgio, dove hanno sede sia le manifatture di vaccini che le istituzioni Ue, si discute del rischio di un «semi-monopolio» di Pfizer; così lo chiama Dominique Vandijck, economista della salute all’università di Gand. Marc Botenga, eurodeputato belga della sinistra europea, denuncia un atteggiamento supino di Bruxelles verso Big Pharma: «Prima che queste aziende sfruttino del tutto il loro potere a scapito di salute e spesa pubblica, invece di far decidere a Big Pharma prezzi e condizioni, bisogna rendere il vaccino un bene comune». Cosa che von der Leyen promise un anno fa, ma che non è mai stata realizzata, anzi. In sede di Wto, l’Ue non sostiene la proposta di India e Sudafrica, supportata da 118 paesi e centinaia di ong, di una deroga alla proprietà intellettuale per liberare i brevetti e ridurre gli squilibri globali. Il Corporate Europe Observatory ha ricostruito gli sforzi lobbistici di Big Pharma per impedire questa soluzione. Efpia, federazione delle industrie farmaceutiche a livello europeo, ha aumentato la spesa per l’attività lobbistica da 4,6 milioni del 2019 a 5,5 del 2020.

Nei documenti degli incontri con l’ala Commercio dell’esecutivo Ue, la posizione di Efpia è chiara: «La proprietà intellettuale non è mai stata importante quanto ora, la chiave del successo è la partnership, non indebolire i brevetti». Avviare produzioni locali «non è una panacea» e «senza proprietà intellettuale non avremmo il vaccino». La trascrizione della posizione espressa dall’Ue al Wto rispecchia gli argomenti usati da Big Pharma nell’attività lobbistica: «Alleviare le tutele alla proprietà intellettuale avrebbe effetti dirompenti negativi».

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