Adesso che i suoi principali sponsor politici, Berlino e Washington, si sono schierati più o meno incondizionatamente con il governo Netanyahu, la presidente della Commissione Ue è come una biglia su un piano inclinato: sta trascinando l’Unione europea verso la sua traiettoria personale.

Ha sacrificato ogni velleità dell’Ue di agire da risolutore della crisi israelo-palestinese, e ha indossato il giubbino da guerra. Non appena ha messo piede negli Stati Uniti si è anche disposta sulla stessa linea di Joe Biden e cioè ha iniziato a incrociare i piani tra guerra in Ucraina e in Medio Oriente. Hamas è «come Putin», e perciò «difendiamo il mondo libero».

Nessun interrogativo su quel che invece accade ai civili palestinesi. Uno scivoloso piano inclinato che porta l’Ue schierata in guerra. E che nella strategia individuale della presidente porta lei, se non a un secondo mandato, almeno al vertice della Nato. La biglia von der Leyen travolge sempre più i fragili equilibri democratici dell’Ue, e gli unici freni che trova le arrivano dalle proteste interne e dai governi europei.

Il segno plastico di questa divisione sta nell’incontro rigorosamente separato che il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante Ue – Charles Michel e Josep Borrell – hanno avuto questo venerdì con Joe Biden ed Antony Blinken. Anche von der Leyen ha poi avuto il suo bilaterale alla Casa Bianca. Ma i tempi differenziati stavolta non hanno alibi, la spiegazione è una: i governi cercano di riprendersi il loro ruolo, che von der Leyen scavalca dal giorno in cui la guerra in Israele è deflagrata. Michel e Borrell lo fanno riportando la discussione sul diritto internazionale.

Stavolta la separazione plastica tra leader è spudoratamente politica: non c’è la coperta di Linus degli atteggiamenti machisti di Erdogan, o delle contese di protagonismo tra Michel e von der Leyen, come quando era scoppiato lo “scandalo del sofà” per la presidente ridotta sul divanetto in Turchia.

La presidente in giubbino da guerra

«Cara vdL, siamo preoccupati per il supporto incondizionato che la Commissione europea da lei rappresentata ha offerto a una delle due parti. Non possiamo restare silenti se le sue posizioni finiscono per dare il via libera a violazioni dei diritti e legittimare crimini di guerra a Gaza».

Questo è uno stralcio della lettera firmata da centinaia di membri dello staff Ue che operano presso il Servizio europeo per l’azione esterna, che fa riferimento a Josep Borrell. L’alto rappresentante era stato il primo a stigmatizzare quella che i funzionari chiamano «cacofonia».

In poche parole, von der Leyen piazzando bandiere, autorizzando la confusione sui tagli di fondi ai palestinesi, stringendo mani a Netanyahu in Israele e schierando l’Ue sul fronte di Israele ha travalicato le sue competenze. Che i governi hanno reclamato, riunendosi anche per risolvere la questione. Tuttavia non appena von der Leyen è atterrata a Washington, ha spinto fino all’estremo la sua linea. Il discorso che ha tenuto giovedì all’Hudson Institute si riassume con la partecipazione dell’Ue a fianco di Israele.

Ciò alla vigilia dei bilaterali con Biden, e dell’annuncio di lui: una richiesta formale al Congresso di stanziare 105 miliardi emergenziali di cui oltre dieci e mezzo in sostegno militare a Israele, legati ai 61,4 per l’Ucraina. Il summit Ue-Usa che si è svolto questo venerdì sotto un clima ufficiale di grande collaborazione conteneva in realtà anche le preoccupazioni dell’Ue sulle fibrillazioni interne agli Usa circa il supporto all’Ucraina, che Biden ha provato a dissipare.

La geopolitica è come i bilaterali: si può far fronte a sé, ma poi, anche nel summit finale a Washington, bisogna che ci si metta d’accordo tutti.

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