L’altra volta, a febbraio, si era trattato della venuta del presidente ucraino in Europa. In quest’ultimo summit dei capi di stato e di governo europei, invece, c’è il via libera alla spedizione di munizioni. Ormai si vede nitidamente uno schema: il sostegno esplicito all’Ucraina è la foglia di fico con la quale il Consiglio europeo prova a coprire tutte le sue contraddizioni.

Nel caso specifico dell’Italia, anche stavolta il governo Meloni al di là dei proclami torna da Bruxelles con sonore perdite sul campo della trattativa, e come se non bastasse la premier dà pure man forte alla Germania mentre Berlino, ostaggio dei liberali, ha tenuto a sua volta in ostaggio i piani green europei.

Anche in questo summit non contano solo i temi che finiscono nelle conclusioni, ma anche quelli che finiscono messi ai margini – come il dossier migranti caro a Meloni – e quelli che viceversa diventano politicamente centrali pur non essendo esplicitamente in agenda, come il freno di Berlino in tema auto.

Meloni spera di portare a casa – vista la borsa vuota di contenuti – almeno un disgelo, o comunque l’incontro, la sera con Macron, proprio nel momento di massimo imbarazzo e fragilità interna del presidente. Che dal canto suo apre all’idea anzitutto perché è in cerca di alleati per spingere il dossier a lui caro relativo al nucleare.

La versione di Meloni

Quando Meloni arriva a Bruxelles per il summit, la sua versione è che sulle migrazioni «l’ultima versione di bozza è soddisfacente: rimanda le verifiche al prossimo Consiglio e quindi conferma la centralità del tema, che viene seguito passo passo».

È un altro modo per dire che il summit si chiude con un nulla di fatto – o poco più – e l’ennesimo rinvio.

Più si avvicina l’estate, più diventerà ingombrante la lentezza di movimenti dell’Ue – d’accordo solo su un approccio respingente – perché si va verso fine mandato europeo e il margine di manovra si riduce.

Non è detto comunque che alla destra ciò dispiaccia: sia i meloniani che i popolari di Manfred Weber potranno costruire sul tema la loro campagna elettorale per il 2024.

Intanto la Germania tiene banco – a dispetto dell’agenda ufficiale – con i suoi piani sulle auto. Negli ultimi tempi e ad accordo avviato per lo stop ai motori a combustione interna entro il 2035, il cancelliere Scholz era andato dietro ai liberali della sua coalizione: con il supporto di un fronte che comprende l’Italia, ha rimesso in discussione il patto europeo.

Ora Berlino punta a una deroga per l’e-fuel. «Penso possa passare anche per i biocarburanti», dice Meloni ai cronisti che le chiedono conto di quali sarebbero i vantaggi per l’Italia nell’assecondare queste mosse ostruzioniste. «Non riteniamo che l’Ue debba stabilire quali siano le tecnologie con le quali raggiungere gli obiettivi».

Munizioni (quasi) comuni

Le conclusioni approvate questo giovedì sull’Ucraina ribadiscono «l’impegno Ue ad aumentare la pressione sulla Russia» e «il pieno supporto» a Kiev. Tra gli annunci legati a questo summit c’è l’accordo per far avere a Kiev un milione di munizioni in un anno; si fa riferimento anche a missili. Oltre alle armi già in stock, si parla anche di acquisti comuni, per contribuire all’obiettivo.

Va chiarito che questo dossier munizioni viene gestito attraverso il meccanismo della Peace Facility, che è intergovernativo, non comunitario. Significa che i governi scelgono se aderire e soprattutto che non c’è un pieno controllo democratico a livello Ue. Per essere concreti: non viene toccato il bilancio comune, e l’Europarlamento non ha facoltà di controllo su queste decisioni.

«C’è il supporto del Servizio europeo per l’azione esterna ma il livello resta intergovernativo e senza ruolo per gli eletti europei», conferma Laëtitia Sédou di Enaat. «Parallelamente, vanno molto a rilento i lavori per “Edirpa”, un regolamento che – da proposta della Commissione – coinvolgerebbe il bilancio comune per le spese di gestione legate agli acquisti congiunti».

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