Più che un anno nuovo, questo inizio di 2022 visto da Bruxelles è un ritorno al passato. Il 31 dicembre, a pochi minuti dallo scoccare della mezzanotte, in una sera di Capodanno in cui i giornali non escono e gli europei hanno la testa altrove, la Commissione europea ha fatto filtrare la decisione controversa che già covava da settimane: propone che gas e nucleare siano etichettati come «green». L’Unione europea in questi mesi deve infatti stabilire quali siano le attività economiche da ritenersi sostenibili. Ma questo sistema di classificazione, la “tassonomia”, nato per orientare gli investimenti verso una direzione verde e per fare dell’Ue la leader del clima, aiuta oggi a classificare più la politica europea che le fonti di energia: rivela fino a che punto Bruxelles si piega ai voleri dei governi e dei gruppi di interesse. Alla base delle decisioni della Commissione c’è infatti una vasta alleanza tra paesi pro nucleare e pro gas.

L’esito è «un disastro», «questa tassonomia è un disastro», dice l’eurodeputato verde tedesco Daniel Freund. E sarà la partita della tassonomia a dirci anche fino a che punto il governo tedesco è davvero nuovo: i verdi, sia dalla posizione di governo a Berlino che a Strasburgo, puntano a far saltare la scelta di Capodanno. «La questione per noi è dirimente», dice Freund. Ma le contraddizioni interne all’esecutivo di Olaf Scholz stanno esplodendo.

La scelta di Bruxelles

Etichettare qualcosa come “green” significa mandare un preciso messaggio positivo agli investitori, alle aziende e ai decisori politici stessi. In teoria, la tassonomia dovrebbe essere orientata da criteri scientifici: segnala quali investimenti sono verdi e su cosa investire per andare al passo con il futuro.

Il report dello EU Technical Expert group, e cioè il dossier tecnico che forniva alla Commissione i dati necessari per elaborare la sua proposta, detta i limiti di emissioni tali perché una fonte possa essere ritenuta sostenibile. Stando a quei criteri, il gas non potrebbe essere verde. Ma ben presto nell’elaborazione della decisione hanno preso il sopravvento criteri assai più politici.

Già nel Consiglio europeo di ottobre si è capito in modo piuttosto nitido che Ursula von der Leyen avrebbe assecondato le pressioni pro gas e pro nucleare di una cordata di governi. Nel testo della Commissione apparso il 31 notte gas e nucleare sono infatti etichettati come green, pur con alcune precisazioni. Quanto al nucleare, fino al 2045 le nuove centrali saranno coperte dall’etichetta verde purché ci siano depositi sicuri per le scorie. Una condizione che però tuttora non viene rispettata, considerando che il problema delle scorie radioattive è ancora irrisolto. Anche verso gli investimenti nel gas naturale Bruxelles è indulgente: li riconosce come verdi con l’alibi di essere una risorsa di transizione, e accompagna la regola ad alcuni standard da rispettare per le nuove centrali.

Una alleanza di interessi

(Emmanuel Macron in una centrale nucleare. Foto AP)

La mossa di Capodanno è una vittoria sia per le lobby di settore che per Emmanuel Macron e per tutti i governi, pro nucleare o pro gas, che si sono alleati fra loro in modo da garantire l’etichetta di “green” a entrambe le categorie.

Le pressioni delle due industrie su Bruxelles si sono intensificate in occasione di questo dossier decisivo. Tra gennaio 2020 e maggio 2021, i lobbisti del gas hanno ottenuto 323 incontri con i funzionari Ue. Il settore nucleare ha raddoppiato il ritmo degli incontri, l’azienda francese Edf da sola ha speso oltre due milioni all’anno per influenzare Bruxelles.

Ma la pressione più intensa è arrivata dai governi, a cominciare da Parigi. Macron, che come primo obiettivo aveva di ottenere il lasciapassare per il nucleare, ha messo a segno il suo piano grazie a due trovate vincenti. La prima è stata utilizzare il caro prezzi dell’energia come pretesto per dare ulteriore spinta al suo piano anti clima. La seconda mossa riuscita è stata accordarsi anche con i paesi pro gas, e blindare così un patto di reciproco sostegno gas-nucleare per etichettare come verdi entrambi.

In questo modo la Francia ha coalizzato Slovenia, Bulgaria, gruppo di Visegrad, si è mostrata dialogante con Polonia e Ungheria in piena crisi dello stato di diritto. E ha potuto contare anche sulla complicità di Roma, con un governo Draghi che aveva come priorità il gas.

La Germania al bivio

(Olaf Scholz ed Emmanuel Macron. Foto AP)

Il punto è che posizione assumerà ora la Germania, fino a che punto Berlino sarà disposta a contrastare Parigi. Angela Merkel, che fino a questo ottobre partecipava ai Consigli europei, è stata la cancelliera che ha guidato il paese fuori dal nucleare. La svolta è cominciata dopo Fukushima, è continuata nonostante le controversie legali con colossi come Vattenfall e le richieste di indennizzo. E continua tuttora. Il 1° gennaio 2022, mentre i bollettini di Bruxelles parlavano di tassonomia, la Germania spegneva tre centrali nucleari. Ne restano altre tre per l’uscita completa dal nucleare. Ma finché è spettato a lei decidere, Merkel non ha fatto grande opposizione al fronte gas-nucleare guidato da Parigi, per una questione molto pragmatica: sul gas la Germania ha interessi diretti.

Ora che al governo c’è il socialdemocratico Olaf Scholz, la questione si complica: la coalizione, dentro la quale convivono Verdi e liberali, non ha una posizione univoca sul tema. I liberali, che da una posizione pro libero mercato occupano il dicastero delle Finanze, sono più che aperti all’idea del gas “green”: «Siamo realistici, ci serve, se abbandoniamo il nucleare e andiamo verso le rinnovabili è la nostra energia di transizione», dice Christian Lindner. Anche l’Spd è orientato così. Ma per i Verdi il piatto è indigeribile: parlano di «greenwashing». Il cancelliere ha provato a minimizzare i contrasti interni come «un problema piccolo in un tema grande», ma soprattutto sul nucleare i suoi alleati green si giocano la credibilità, a Berlino e in Europa.

Come andrà a finire

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La tassonomia non è nelle sole mani di Bruxelles. Prima c’è un ulteriore passaggio che riguarda la Commissione. Bruxelles deve aspettare la reazione del gruppo tecnico di esperti, i quali hanno tempo fino al 12 gennaio per esprimersi. La tassonomia, che formalmente è un atto delegato, verrà poi adottata ufficialmente dalla Commissione entro fine gennaio.

A quel punto il tema passa alle altre istituzioni, cioè Consiglio ed Europarlamento. Governi ed eletti europei hanno quattro mesi per valutare la proposta e possono chiederne altri due: c’è un margine di mezzo anno per discutere la questione.

A Strasburgo i Verdi europei proporranno di cestinare la proposta di Bruxelles: «Con questa tassonomia, tanto vale ribattezzare il Green Deal “gas deal”», dice Bas Eickhout, il verde che è anche relatore dell’Europarlamento sul tema. Ma perché la proposta cambi del tutto colore, e perché non ci si accontenti solo di qualche correzione a margine, deve cambiare radicalmente l’equilibrio tra i governi. In Consiglio infatti serve una maggioranza qualificata rinforzata per poter obiettare alla proposta. Solo se almeno venti stati membri, che rappresentino il 65 per cento di europei, si mettono di traverso, la scelta di Capodanno può essere ribaltata.

Certo, i contrari ci sono: Vienna ha persino minacciato azioni legali contro la Commissione, se va avanti con la storia del nucleare verde. Ma ormai l’ultima speranza di tanti, dai Verdi tedeschi all’associazione dei consumatori europei, è un’altra: che nelle loro scelte gli investitori si dimostrino più green della Commissione.

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