Nel cuore antico di Tbilisi, la capitale della Georgia, l’ufficio del movimento pro Europa Shame, in uno dei tipici edifici con balconi coperti in legno, è pieno di maschere antigas, adesivi e manifesti pro Europa e una serie di gadget anti Putin. Entrando nell’androne si è accolti da un cestino della spazzatura su cui campeggia la faccia del presidente russo, coperta dalle impronte di due suole rosse. La stessa immagine è incollata ai piedi dei sanitari dei bagni, in modo che ogni utilizzatore non può che calpestare la faccia del leader russo.

La legislazione

«All’improvviso il governo ha iniziato a bombardarci con nuove leggi. Poi hanno iniziato a parlare del partito della guerra globale fomentato dall’occidente. La loro narrazione è diventata sempre più chiara, come pure l’influenza russa», spiega in un ottimo inglese Ana Tavadze, 26 anni, una delle leader del movimento. Tavadze è una delle decine di migliaia di giovani che hanno manifestato senza sosta da quando il governo del partito di maggioranza Sogno georgiano ha introdotto in aprile la famigerata legge sulle influenze straniere, approvata in terza lettura dal parlamento di Tbilisi martedì scorso.

La legge prevede che le organizzazioni non governative, i media e i sindacati che ricevono più del 20 per cento delle loro entrate dall’estero, cioè quasi tutti, si registrino presso il ministero della Giustizia come «organizzazioni che perseguono gli interessi di una potenza straniera». Gli enti registrati saranno poi sottoposti a onerose procedure di controllo e potenziali e ripetute multe, in grado di far chiudere per bancarotta numerose organizzazioni della società civile.

Tale legge, chiamata “legge russa” dall’opposizione e dalla società civile per le chiare assonanze con un provvedimento del 2012 col quale Mosca ha zittito i critici del Cremlino, è vista anche dagli alleati occidentali del paese come un chiaro tentativo di limitare l’opposizione interna e avvicinarsi sempre più all’orbita russa.

Il voto di martedì scorso è stato preceduto da un crescendo di manifestazioni, soprattutto a Tbilisi, in molti casi represse con violenza da parte della polizia, che ha picchiato i manifestanti impunemente davanti a decine di telecamere. Alle manifestazioni della società civile si sono affiancati i richiami e gli avvertimenti dell’Unione europea, degli Stati Uniti e di varie organizzazioni internazionali. Il messaggio al governo è stato chiaro: vi state avvicinando sempre più a Mosca, ritirate la legge e tornate nell’orbita euro-atlantica. Avvertimenti e richiami, come si è visto questa settimana, rispediti al mittente spesso con toni sprezzanti da parte di esponenti politici georgiani.

Georgia

I rapporti con l’Ue

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A dicembre dello scorso anno, la Ue ha conferito alla Georgia lo status di paese candidato all’entrata nel blocco europeo, obiettivo che l’ex repubblica sovietica ha nella propria Costituzione, insieme all’adesione alla Nato. Per gli attivisti la scelta è chiara, il futuro della Georgia dovrà essere insieme all’Europa, altrimenti si tornerà sotto la sfera di influenza di Mosca, con conseguenze nefaste per la fragile ma fiera repubblica caucasica. «Non abbiamo il lusso di avere un dibattito ideologico in Georgia. Per noi l’Europa non è una sorta di sogno utopico. Si tratta solo di scegliere tra il peggio e il meglio», dice Tavadze. Ma l’approvazione della legge sugli “agenti stranieri” mette in serio pericolo l’adesione alla Ue. La cosa più probabile, se la legge non verrà ritirata, è che la Commissione europea non confermerà tale status alla Georgia, che è precondizione affinché le trattative per l’adesione possano cominciare, spiega una fonte Ue. Tuttavia, per molti giovani georgiani, che da più di un mese manifestano giorno e notte avvolti nella bandiera europea e continuano a farlo, l‘atteggiamento della Ue è stato troppo poco assertivo e speravano in un sostegno più deciso.

«Abbiamo apprezzato tutti i messaggi, ma in termini di qualcosa di visibile, qualcosa che puoi toccare, non hanno fatto nulla che potesse aiutare e questo è deludente,» dice Dachi Imedadze, venticinquenne attivista di Shame.

La presidente georgiana Salome Zourabichvili, nata e cresciuta in Francia e convinta europeista, ieri ha posto il suo veto sulla legge, rispedendola al parlamento monocamerale di Tbilisi. Secondo la presidente «lo spirito e l’essenza della legge sono quelli di una legge russa, che contraddice la nostra costituzione e tutti gli standard europei ed è quindi un ostacolo al nostro percorso europeo». Inoltre, ha continuato Zourabichvili, le legge «non potrà essere migliorata o abbellita. È un veto molto semplice: la legge deve essere ritirata». Sogno Georgiano può contare però su una solida maggioranza con la quale potrà riapprovarla.

I tempi, tra il riesame del parlamento e l’eventuale seconda approvazione, rappresentano un’opportunità «per far ragionare il governo georgiano e a far sì che ricominci a comportarsi bene», come auspicano alcune fonti Ue; ma lo scetticismo prevale. Bruxelles non doveva permettere che si arrivasse a questo punto, hanno detto vari attivisti e parlamentari europei.

«Non c’è alcun modo di abbellire questa legge. La dovranno ritirare e basta» aveva avvertito sotto la pioggia Marika Mikiashvili, prima di passare tutta la notte davanti al parlamento insieme a migliaia di altri manifestanti, per impedire ai deputati di entrare e votare a favore della legge. Ma l’Unione ha fatto fatica a trovare una voce sola, vista l’opposizione del Commissario ungherese all’allargamento della Ue Olivér Várhelyi, che invece sembra vedere di buon occhio il riavvicinamento di Tbilisi alla Russia.

La svolta autoritaria

D’altro canto, c’erano stati altri segnali, altrettanto gravi, secondo gli attivisti, arrivati negli ultimi mesi. Il parlamento ha abolito le quote di genere nelle liste elettorali. Ha introdotto una legge che limita i diritti delle persone lgbt, cercando di fare leva su una società ancora prevalentemente conservatrice per ottenere maggiori consensi alle elezioni politiche previste il 26 ottobre.

Infine, Sogno Georgiano ha spinto per una legge che permetterà ai capitali offshore di rientrare in Georgia più facilmente. Il timore è che oltre ad avvantaggiare le imprese russe – la Georgia non ha aderito alle sanzioni internazionali contro Mosca introdotte dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina – permetta al fondatore del partito di governo, Bidzina Ivanishvili, un magnate che ha ammassato la gran parte della sua ricchezza in Russia, di evadere le sanzioni occidentali. Quattro provvedimenti, che gli attivisti, la presidente, l’Ue e gli Usa vedono come contrari ai valori occidentali e che sembrano essere un chiaro messaggio alla Russia: noi stiamo con voi. La leadership georgiana ha opposto a queste critiche la propria narrazione, spiegando agli elettori che il paese vuole entrare nella Ue, ma alle proprie condizioni, salvaguardando la propria sovranità e i valori tradizionali della sua società.

Il punto, però, è che tali leggi sembrano essere o un favore alla Russia, come nel caso della legge sui capitali offshore, o una brusca virata dai valori europei verso una crociata putiniana per affermare i valori tradizionali, di cui l’occidente sarebbe il principale nemico. «Il nostro messaggio al governo è sempre stato molto chiaro», ha detto la fonte Ue a Domani, sottolineando come l’Unione dietro le quinte sia stata molto più decisa, con la consapevolezza che lo spostamento verso l’orbita russa fosse in atto già da mesi. «Non so di che alternative la gente parli. Non possiamo intervenire come faceva Mosca nelle repubbliche dell’ex Unione sovietica. Noi non siamo così».

Mentre in Georgia le proteste continuano, come pure la solidarietà ai manifestanti da parte delle istituzioni europee, le ong che saranno colpite dal provvedimento stanno valutando le loro opzioni.

A Shame, dicono che ci sono varie ipotesi e non hanno ancora deciso sul da farsi. Altri invece non hanno dubbi. «Non ci registreremo», dice a Domani Tamar Oniani, direttrice del programma per i diritti umani presso l’Associazione dei giovani avvocati, che dice di aver subito recentemente vari tentativi di intimidazioni, come pure la sua famiglia. «Vogliamo vivere in Europa».

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