Nessuna riunione fiume a Istanbul. Il secondo round di colloqui tra ucraini e russi è durato poco più di un’ora. E non ha portato a grandi risultati, se non a un’intesa su un nuovo scambio di prigionieri.

I nodi rimangono gli stessi, anche se le autorità turche, con Recep Tayyip Erdogan in testa, a vertice finito si sono affrettate a dire che non sia stato un fallimento. L’impressione è che la tensione della vigilia, dopo gli attacchi record di droni russi e soprattutto la sorprendente operazione militare ucraina contro i bombardieri nemici, non si sia sciolta. Tutt’altro.

Tregua e memorandum

Le due parti sedute ai lati di un tavolo di palazzo Ciragan, affacciato sul Bosforo, non hanno trovato una soluzione al nodo principale: il cessate il fuoco. Kiev ha proposto una tregua incondizionata per 30 giorni, ma i russi hanno rifiutato. Era il primo elemento della proposta ucraina, un documento di pochi punti in cui si escludeva una neutralità e una smilitarizzazione del paese, pur aprendo alla possibilità di una rimozione delle sanzioni alla Russia.

I delegati del Cremlino, guidati da Vladimir Medinzky, però, hanno rilanciato con una prima controproposta: una tregua di due-tre giorni, solo in alcune zone del fronte, per permettere il recupero dei caduti. Troppo poco per gli ucraini. Riguardo il “memorandum” russo, consegnato solo ieri a Kiev, le agenzie stampa moscovite hanno fatto trapelare i dettagli. Sono due le opzioni. I 30 giorni di tregua possono arrivare o con un ritiro delle truppe ucraine dal territorio che Mosca ritiene suo, quindi anche dalle regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporozhya e Kherson, alcune delle quali sono solo parzialmente occupate dalla Russia. Oppure con la smobilitazione dell’esercito di Kiev, la fine degli aiuti militari stranieri all’Ucraina, la neutralità del paese, l’esclusione di soldati stranieri sul suo territorio e nuove elezioni. Tutte condizioni già rifiutate e giudicate inaccettabili da parte di Kiev.

Ora passerà almeno un’altra settimana prima che gli ucraini possano studiare la proposta russa e rispondere. Ma le aspettative sono basse, viste le richieste. Intanto, Kiev ha proposto un terzo round, tra il 20 e il 30 giugno. Magari sempre in Turchia, come vorrebbe Erdogan, pronto a ospitare un vertice tra Zelensky e Vladimir Putin mediato da Donald Trump. Il presidente Usa avrebbe dato una disponibilità di massima e agli ucraini l’ipotesi va più che bene. Sono i russi a temporeggiare.

Prigionieri, caduti e bambini

Se sul lato bellico il formato turco dei colloqui sembra aver funzionato poco, da un punto di vista umanitario i progressi ci sono stati. Sulla questione dei prigionieri si è trovata una convergenza. Il primo ad annunciarlo è stato Zelensky, da un summit dei paesi del fianco nord-est della Nato a Vilnius. È in via di definizione un nuovo scambio, dopo quello avvenuto negli scorsi giorni. Saranno più di 1000 per parte i soldati liberati. A essere rilasciati, i militari gravemente feriti o malati e quelli di età inferiore ai 25 anni, ha fatto sapere il ministro della Difesa di Kiev (e capo della delegazione ucraina) Rustem Umerov. È stato anche raggiunto un accordo sul ritorno in patria dei corpi di circa 12mila soldati morti dietro le linee nemiche, 6.000 per parte.

Oltre ai prigionieri di guerra, si è parlato anche della questione dei bambini ucraini deportati in Russia. La delegazione di Kiev ha consegnato alla sua controparte una lista con 339 nomi di giovani e giovanissimi da rimpatriare subito. Tuttavia, da parte russa non si è avuta nessuna garanzia in merito. Anzi, dopo aver ribadito la posizione del Cremlino, «non abbiamo rapito nessuno», e aver assicurato che vaglieranno ogni singolo caso, Medinsky in maniera sprezzante lo avrebbe definito «uno spettacolo per vecchie signore europee dal cuore tenero e senza figli» messo in piedi dagli ucraini.

Il giorno dopo

A parte qualche tono aggressivo, i colloqui sembra siano avvenuti in un clima piuttosto ovattato. Il Cremlino non aveva ancora metabolizzato l’operazione ucraina di poche ore prima, con decine di aerei russi distrutti in tutto il paese. Putin ieri ha convocato una riunione del consiglio di sicurezza, forse per approvare ritorsioni. Per Zelensky, però, l’attacco è stata una dimostrazione di come l’Ucraina abbia ancora soluzioni tattiche efficaci. «La Russia deve rendersi conto del significato delle sue perdite» - ha detto il presidente ucraino - «Questo la spingerà verso la diplomazia». L’operazione, rivendicata con orgoglio da Kiev, è stata giudicata legittima dal Regno Unito, dalla Germania e dall’Unione Europea.

Il sostegno europeo all’Ucraina è stato confermato anche in questa fase delicata. Prima dei colloqui di Istanbul, alcuni funzionari di Londra e Berlino, ma anche del governo italiano con il consigliere diplomatico Pietro Sferra Carini, hanno avuto uno scambio con il vice ministro degli Esteri di Kiev, Sergiy Kyslytsya. Un modo per coordinarsi sul tavolo negoziale. Quella stessa coordinazione che l’Unione europea sta cercando di riprendere anche con Washington in merito alle sanzioni contro la Russia, come confermato dall’incontro di ieri tra Ursula von der Leyen e il senatore repubblicano Usa, Lindsey Graham. Sanzioni per cui Zelensky si è rivolto a Trump, invocando una sua maggiore pressione su Mosca affinché accetti il cessate il fuoco

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