Olaf Scholz parla di «una svolta storica», il governo Meloni di «un successo italiano». I capi di stato e di governo sono convinti di arrivare oggi a Granada con la faccia salva, dopo che ieri è stato chiuso l’accordo su un dossier cruciale del patto europeo sulle migrazioni. Prima non si convinceva la Germania, poi era stata l’Italia a tenere in ostaggio tutti; ma è stato trovato il tanto atteso compromesso e ora la premier italiana ha il suo scalpo da esibire. È sempre il solito: le ong, capro espiatorio di destre di ogni sfumatura e paese, dai popolari europei a Meloni e Orbán, passando per Elon Musk.

C’è un dettaglio non da poco, però: se si va oltre le apparenze, chi non salva la faccia è l’Unione europea, dopo questo via libera al fascicolo “crisi” e dopo che il Consiglio ha dato un assist alla criminalizzazione delle ong.

A Bruxelles ormai governano i paradossi: il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, pur di giocare di sponda coi governi, dichiara che «bisogna chiedere alle ong se agiscono in linea con lo stato di diritto». E tutto questo mentre Ursula von der Leyen si prepara invece a scongelare i fondi all’Ungheria di Viktor Orbán, campione di violazioni dello stato di diritto.

Mentre questi leader dell’Ue pensano a preservare il proprio futuro sulla scena politica – con von der Leyen che lavora al suo bis e che asseconda tanto Meloni che Orbán – intanto il dossier concordato questo mercoledì apre a svolte inquietanti; e il fragile ecosistema democratico dell’Unione europea subisce l’ennesimo colpo.

I costi dell’accordo

Era un passaggio chiave, la sintesi sul fascicolo crisi: se non si fosse sbloccato questo dossier, sarebbe rimasto impantanato l’intero patto Ue su migrazioni e asilo.

Il Parlamento europeo, pur di scuotere i governi in preda alle loro contraddizioni interne, aveva dato lo stop ai negoziati su altri due dossier (Eurodac e screening); questo mercoledì gli eurodeputati hanno potuto annunciare la ripresa dei lavori.

Tuttavia la soluzione della diatriba tra Italia e Germania – che consentirà a Scholz e Meloni una stretta di mano a Granada – non è priva di costi politici.

Il cancelliere sacrifica la difesa dei diritti: fino alla scorsa settimana, almeno i Verdi avevano frenato sul fascicolo crisi, perché introduce deroghe scivolose. Il dossier erge a sistema le svolte peggiori recenti, come quando la Polonia ha normalizzato i respingimenti illegali e Bruxelles ha avallato la cosa in nome delle interferenze bielorusse. La bozza parla di «strumentalizzazioni» e prevede deroghe come la possibilità di trattenere i migranti alcuni mesi in più nei centri di detenzione; l’argomento è che se la pressione è tanta serve più tempo per valutare le richieste di asilo.

Scholz ha in mente l’estrema destra di Afd sempre più rampante, il discorso pubblico sempre più xenofobo; e alle elezioni locali di questo weekend è candidata pure la sua ministra degli Interni. Dunque la scorsa settimana il cancelliere aveva spinto un compromesso su guida della presidenza spagnola.

Ma a quel punto era stato il governo Meloni a sceneggiare lo stop; erano i giorni degli attacchi a Germania e ong. I meloniani hanno tenuto tutti in ostaggio lamentando che gli aiuti umanitari fossero stati esclusi dalle «strumentalizzazioni».

Il finale è stato “spoilerato” dalla presidenza di turno spagnola la scorsa settimana: il ministro Fernando Grande-Marlaska ha ventilato un accordo tra rappresentanti dei governi (“Coreper”) prima di Granada. E infatti questo mercoledì, alla vigilia del summit, la sintesi è stata formalizzata: pare che il patto italo-tedesco consista nell’aver declassato il passaggio sulle ong nei preamboli invece che nell’articolato.

La concessione poco più che simbolica al governo Meloni finisce però per avallare gli attacchi già intensi a società civile e ong; ci si era messo pure il Ppe, sfruttando in funzione anti ong le riforme etiche dopo lo scandalo Qatar. Ci si mette Meloni. E ora persino Michel.

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