Siamo già oltre la vicinanza tra Manfred Weber e Giorgia Meloni. Siamo al collaudo, con la costruzione di nemici e alleanze comuni. Il grande stress test si svolge sui temi ambientali, o meglio: contro. In vista delle europee 2024 l’arco delle destre sta boicottando l’ennesima porzione del Piano verde europeo. L’ultima è la nature restoration law, il provvedimento per la salvaguardia di ecosistemi e biodiversità.

Non è certo la prima volta che popolari e destre estreme vanno insieme all’assalto del Green Deal. Ci si esercitano da almeno un anno. Ma stavolta si allargano. «E mica solo le destre!», dice non a caso a Domani il capogruppo dei conservatori Nicola Procaccini, luogotenente meloniano in Ue. Allude ai liberali: la “destra rigenerata” mira anche ad aprire una breccia dentro Renew perché potrebbe rivelarsi fondamentale per una maggioranza diversa dall’attuale.

Rispetto agli altri assalti al Piano verde c’è anche un’altra novità: chiarito che un bis di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue è più che probabile, Weber ha spostato il tiro a segno in direzione di Frans Timmermans. Attaccare il commissario al Green Deal è per le destre un richiamo comune ad attrupparsi; è come fare campagna elettorale insieme senza dirlo.

Il grande assalto

Per Weber boicottare il Green Deal è tutt’uno con il piano di allargamento a destra. Già da oltre un anno, su pacchetti chiave come Fit for 55, i popolari hanno votato con conservatori (Ecr di Meloni) e sovranisti (Id cioè anche Lega) facendo ostruzionismo. La battaglia contro lo stop ai motori a combustione entro il 2035 è stata uno dei momenti clou, ma dopo aver fatto saltare i lavori i popolari sono scesi a compromessi coi socialisti.

Weber ha comunque continuato i suoi assalti, veri e propri test di tenuta per maggioranze alternative, sperimentati sul green come sui migranti. Nella maggioranza dei casi sono falliti. Perché tanta ostinazione quindi? Le proiezioni post 2024 prevedono numeri più favorevoli alle destre. E poi, il Green Deal nel 2019 era la priorità per la neopresidente von der Leyen: strattonando il green, Weber spintonava lei.

Ora che dalla Germania i leader cristianodemocratici le hanno confermato il supporto per un bis, Weber non può attaccarla visibilmente.

Inimicizie e alleanze

Quindi usa come bersaglio Timmermans. Un segnale evidente di sintonia con le destre estreme è proprio il collaudo di slogan (e nemici) comuni. «Von der Leyen era stata eletta col sostegno di Orbán e del Pis, mentre verdi e sinistra erano all’opposizione. Poi però Timmermans li ha patrocinati mettendo all’angolo il Ppe», è la versione di Procaccini. Che ovviamente ce l’ha col commissario al Green Deal, come pure con «i green chic».

Sotto l’egida del comune nemico – l’ambiente, o Timmermans – in commissione Ambiente il Ppe si è sottratto ai negoziati sulla nature restoration law, e la scorsa settimana ha messo ai voti la richiesta che la Commissione stracci del tutto la bozza. Un assalto puntellato da duemila emendamenti. È finita in parità: il voto prosegue la prossima settimana. Ma intanto le destre sono riuscite a trascinare con sé anche componenti liberali.

Che ci si divida sul clima, è usuale dentro Renew, ma in questo caso c’era un liberale – Pascal Canfin – a guidare i lavori e l’ostruzionismo anche da fronti amici ha reso palpabile il passaggio critico. «Buona parte di Renew si riposiziona: persino Macron invoca “pause regolatorie”, un eccesso di politiche green radicali fa sì che ci sia un riassetto in quel campo», dice Procaccini. O meglio, lo rivendica.

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