Ancora poche ore, poi la giostra delle liste sarà ufficialmente chiusa: il deposito è previsto per le 20 di oggi, dopo una domenica di fuoco soprattutto in casa del Partito democratico.

La prima grana ha riguardato in particolare i nomi dei quattro under35 scelti personalmente da Enrico Letta per correre come capolista in collegi blindati e assicurare una quota di rinnovamento alle liste.

Gli under35

Cresciuti coi social anche nel corso della loro militanza giovanile, proprio i vecchi post sui social network hanno scatenato attacchi da parte della destra ed equivalenti imbarazzi per la segreteria del Pd. Il primo a cadere dopo la polemica è stato, già sabato, il candidato della Basilicata, Raffaele La Regina. Aveva provato a resistere, scusandosi per i messaggi riguardo l’esistenza di Israele e chiudendo tutti i suoi profili, ma poi sono spuntate anche posizioni contro il Tap e attacchi all’expo di Milano e a quel punto anche Letta ha dovuto chiedergli il passo indietro.

Domenica, invece, è toccato alla venticinquenne veneta, Rachele Scarpa: la Lega con Matteo Salvini in persona la ha attaccata per due post, uno in cui scriveva che era necessaria la patrimoniale e un altro in cui parlava di «regime di apartheid di Israele». Infine, spulciando sul profilo instagram del candidato napoletano Marco Sarracino, è spuntato un post in cui ricordava l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre, con foto di Lenini. Anche contro di lui si è scatenata una big come Giorgia Meloni - che in settimana era stata attaccata per un suo video da giovane in cui parlava di Mussolini – la quale ha chiamato in causa il segretario: «Chissà se Letta rivendicherà anche questo nelle sue interviste alle TV estere, chissà quanto la comunità internazionale apprezzerà un partito che inneggia all'Unione Sovietica, un regime totalitario comunista». Anche Sarracino ha immediatamente chiuso tutti i suoi profili social e ha evitato di commentare.

L’unica dei quattro, per ora, a non essere stata toccata dalle polemiche è Caterina Cerroni. In ambienti dem si respira aria pesante, dopo la batosta romana per il video dell’ex capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri, Albino Ruberti anche i giovani che dovevano essere il fiore all’occhiello sono finiti impallinati dalle polemiche. «Questo succede quando i candidati sono cooptati e si usa l’età come elemento di valore, non sono attrezzati a reggere le polemiche», mugugna un dirigente ancora alle prese con le liste sul suo territorio.

I paracadutati

L’altra grana difficile da gestire è stata la rabbia dei territori, dove il Pd nazionale ha paracadutato candidati indigesti. Ogni dirigente sa che esistono candidature tematiche, con nomi scelti perchè portatori di competenze su temi caratterizzanti, che in alcune occasioni devono avere la meglio su quelle prettamente territoriali.

Non è stato questo a incendiare le federazioni locali, ma il paracadute nei collegi blindati dei dirigenti dei partiti alleati o di capibastone dem timorosi di misurarsi con le proprie regioni di origine. Così sono esplosi i casi di Nicola Fratoianni all’uninominale di Pisa e dell’ex sottosegretaria grillina Laura Castelli in quello di Novara: entrambe le candidature, poi, sono state sostituite e a Pisa ha potuto rientrare il costituzionalista dem Stefano Ceccanti.

A dover trovare casa in collegi sicuri sono Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro per Verdi e Sinistra Italiana; Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi per Più Europa e Luigi Di Maio e Bruno Tabacci per Impegno civico, ma ognuno di loro ha diritto ad altri collegi in cui tentare con i rispettivi fedelissimi. Il più difficile da votare per i dem probabilmente sarà Luigi Di Maio, avviato verso un seggio sicuro a Napoli dove si assiepano anche i non napoletani Dario Franceschini e Roberto Speranza.

Questa è la politica delle alleanze, è il ragionamento della direzione dem: gli accordi ci sono sempre stati e servono per la strategia complessiva contro la destra data in vantaggio. Tuttavia, la maggiore critica a Letta è stata quella di aver assecondato troppo le spartizioni correntizie interne al partito, anche a costo di sacrificare i legami territoriali. E’ stato il caso di Giuditta Pini a Modena, non candidata, e di Patrizia Prestipino a Roma, candidata nel collegio quasi impossibile di Ostia, che ha detto al Messaggero che «si sono sistemati tutti i forti e i potenti. Chi lavora sul territorio è stato lasciato fuori».

Una critica pesante, che però riassume il fastidio di molti collegi che il Pd considera sicuri, dove a fare campagna elettorale a candidati sconosciuti e magari politicamente poco affini sono chiamati i militanti locali, in sezioni sempre più povere a causa del taglio del finanziamento pubblico ai partiti. Con il rischio che, lentamente, anche le cosiddette province rosse tradiscano.

 

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