La pandemia di coronavirus ha segnato una battuta d’arresto per la destra radicale, quella che in Italia chiamiamo, forse con un eccesso di pudicizia, “destra sovranista”.

Privato delle sue piazze e di ossigeno mediatico, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha perso in sei mesi cinque punti nei sondaggi. Il partito tedesco AfD è stato oscurato dal modo professionale con cui la cancelliera, Angela Merkel, ha gestito la crisi e lo stesso è accaduto ai sovranisti francesi e a quelli spagnoli. “L’estrema destra europea sa come sprecare una buona crisi”, ha riassunto in maniera eloquente l’edizione europea del quotidiano Politico.

Anche oltreoceano i “sovranisti” hanno ottenuto risultati deludenti. Negli Stati Uniti e in Brasile, la risposta dei presidenti Donald Trump e Jair Bolsonaro è stata incerta e contraddittoria. Decine di migliaia di persone sono morte a causa del virus e delle misure di contenimento imposte senza convinzione e lo stesso Bolsonaro è risultato contagiato, nonostante fosse stato costretto dall’ordine di un giudice a indossare una mascherina quando si trovava in pubblico. Il risultato di questi fallimenti è che i governi di Brasile e Stati Uniti  sono stati tra i pochi a non aver beneficiato dell’aumento di consensi che quasi sempre si verifica durante una crisi.

Per gli avversari dei sovranisti sembra la prova che gli elettori si sono stufati delle facili promesse e che, messi di fronte a un’emergenza, hanno iniziato a dare maggior valore alla stabilità e alla competenza che soltanto i tradizionali partiti centristi possono assicurare. Altri, come Graham Macklin, un ricercatore dell’università di Oslo specializzato nello studio dei partiti estremisti, sono meno ottimisti e ritengono che i centristi siano riusciti ad arginare la destra adottando proprio le politiche di quest’ultima: blocco dell’immigrazione e chiusura delle frontiere. Quali che siano le ragioni di questa marginalizzazione, è però presto perché gli avversari dei sovranisti possano cantare vittoria.  

In Ungheria, il primo ministro Viktor Orbán ha utilizzato la pandemia per aumentare il suo controllo sul paese, introducendo lo stato di emergenza, ottenendo dal Parlamento di poter governare per decreti e stringendo ancora di più la sua presa sui media, introducendo ad esempio pesanti multe e nuove pene per i giornalisti che diffondono “notizie false” durante la pandemia. Orbán ha promesso di ritirare le leggi speciali, ma secondo osservatori indipendenti come il Karoly Eotvos Institute, un centro studi ungherese che si occupa di monitorare la qualità della democrazia, si tratterebbe di un ritorno al passato soltanto di facciata.  

Anche in Polonia il governo del partito Diritto e Giustizia ha sfruttato la crisi a suo vantaggio e al primo turno delle presidenziali, lo scorso 28 giugno, il presidente di destra Andrzej Duda ha raccolto quasi 3 milioni e mezzo di voti in più del suo avversario (sarà una sorpresa per molti se al secondo turno del 12 luglio Duda dovesse essere superato).

In altre parole, dove i governi sovranisti sono stabili e da anni profondamente radicati nel sistema statale e mediatico, sono riusciti a sfruttare la crisi causata dal coronavirus per consolidare il loro potere. Ma anche in quei paesi, come gli Stati Uniti, dove la destra non aveva un apparato statale docile e sotto controllo su cui appoggiarsi, i sovranisti hanno superato il primo shock e stanno iniziando oggi a costruire una nuova narrazione politica che minimizza i pericoli della pandemia e punta sul diffuso desiderio di tornare alla normalità.

Come ha scritto Macklin, questa narrazione si basa su un misto di negazionismo e teorie del complotto. L’estrema destra considera il coronavirus, alternativamente, un’arma biologica sfuggita da un laboratorio cinese, oppure una normale influenza, spacciata per un virus letale per favorire gli interessi delle élite. In ogni caso, non è una vera minaccia e le misure di lockdown e le altre limitazioni per proteggere la popolazione sono inutili o addirittura dannose.

I gruppi che sostengono le più estreme di queste teorie sono numericamente ridotti e spesso bizzarri. Tra i più coloriti ci sono i “Boogaloo Bois”, un gruppo americano di estrema destra nato su internet i cui membri si identificano tra di loro con camicie hawaiane e sostengono che il coronavirus sia un complotto per scatenare una guerra civile contro i bianchi americani. Altri mischiano le teorie del complotto sul coronavirus con quelle sulla rete telefonica 5G o sui vaccini.

Nonostante la loro marginalità, questi gruppi ricevono una copertura mediatica sproporzionata e nel brodo di cultura di scetticismo e sospetto che ne risulta, media e politici mainstream pescano a piene mani per diffondere i loro dubbi sulla pandemia. Un filo rosso fatto di insofferenza per le mascherine, di rifiuto per le misure di quarantena e per quelle di distanziamento sociale corre da Salvini a Trump, unisce Fox News agli italiani “Gilet Arancioni”.

Il vero banco di prova per i sovranisti di fronte alla pandemia, quindi, deve ancora arrivare. Secondo Cas Mudde, professore della University of Georgia e uno dei principali studiosi di estrema destra, lo vedremo a partire dal prossimo autunno quando è probabile che aumenteranno i focolai di coronavirus e, forse, assisteremo a una seconda ondata della pandemia, causata dalla riapertura dalle scuole, dalla naturale riduzione del livello di cautela e dai primi freddi, che spingeranno le persone a frequentare luoghi chiusi.

A quel punto il virus non sarà più un nemico sconosciuto e terrificante e la tolleranza della popolazione per nuove misure di quarantena sarà in buona parte esaurita. È su questo terreno fertile che la destra radicale combatterà la sua battaglia, sostenendo da un lato l’inutilità delle misure di contenimento, la necessità di mantenere attiva l’economia e quella di proteggere il paese chiudendo le frontiere.

Solo quando questo scontro sarà concluso sapremo se la destra radicale ha davvero sprecato la sua crisi. 

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