Giovedì 10 ottobre 1985, ore 21 e 30.

In tutto il Mediterraneo, il traffico aereo è praticamente azzerato.

Eppure, tra sale radar e centri di controllo aerei, c’è un flusso di informazioni che non si verifica dai tempi della seconda guerra mondiale.

Tutti gli occhi dei controllori del traffico sono puntati sui monitor che segnalano gli spostamenti di un Boeing 737 della compagnia aerea di bandiera egiziana Egyptair.

Che, dal Cairo, sta volando verso Tunisi con a bordo una quindicina di persone.

O almeno così pare.

Tre ore di volo per attraversare tre paesi: Egitto, Libia e Tunisia. Un volo di routine, verrebbe da dire. Ma all’improvviso, la torre di controllo dell’aeroporto di Tunisi nega l’atterraggio. E chiude il contatto radio.

Il pilota del Boeing prova a chiedere il nulla osta per l’atterraggio prima ad Algeri, poi ad Atene, e infine a qualunque aeroporto sia sulla sua rotta. Ma tutti rispondono “negativo”.

Allora contatta le torri di controllo di tutto il Mediterraneo, però la risposta è sempre la stessa. Ordini superiori: in questa storia, non ci vogliono entrare.

Sembra che mezza Europa stia aspettando di vedere come precipita un Boeing quando i suoi serbatoi saranno vuoti.

Alle 22 circa, però, due aerei da caccia Tomcat F 14 rompono lo stallo. Si sovrappongono alla rotta del Boeing e gli si posizionano appena sopra le ali.

Il pilota egiziano cerca di mettersi in contatto con loro, ma la radio tace. E il suo volo procede.

Dopo circa mezz’ora, altri tre velivoli militari sovrastano il Boeing. Sono un aereo radar E 2C e altri due F 14. Anche questi, lo affiancano, si sovrappongono alla sua rotta e, praticamente, gli fanno da scorta.

Il pilota egiziano tenta di nuovo di stabilire un contatto radio. Ma ancora, in risposta riceve solo silenzio. Dagli aerei come dagli aeroporti.

Per lui, quella fetta di Mediterraneo tra Tripoli e Malta sta diventando un buco nero sotto il cielo.

All’improvviso però, poco dopo le 23.45, la radio si risveglia. A parlare è una voce italiana: l’aeroporto di Roma.

Noi siamo un popolo di santi e navigatori e questo è uno dei rari casi in cui la legge morale della Chiesa e quella del mare coincidono. Non si abbandona nessuno in pericolo di vita. Chiunque esso sia, qualunque cosa abbia fatto.

Ciampino è pronto ad accogliere il Boeing.

L’inizio della virata verso l’Italia, per tutti gli occupanti del Boeing, è un sollievo.

Così come la voce che arriva dagli aerei militari e che qualifica la flotta che insegue l’aereo di linea.

Generale Steiner, Delta Force, il corpo speciale statunitense con funzione antiterrorismo.

Solo che il suo tono non è molto rassicurante,

Infatti, altro che Ciampino. Il Boeing deve atterrare all’aeroporto militare “Cosimo di Palma” di Sigonella, a 15 km scarsi da Catania.

Dopo l’atterraggio, tutti i passeggeri dovranno farsi arrestare dalle forze statunitensi, senza opporre alcuna resistenza.

Il pilota non contesta. La procedura internazionale prevede che gli aerei civili non si oppongano agli ordini degli aerei militari. Motivi di sicurezza.

Trentuno minuti dopo, a mezzanotte e 16, il Boeing atterra, anticipato dall’aereo radar e seguito dai 4 caccia.

Nello stesso istante, toccano terra anche altri due aerei. Sono due C 141, i classici apparecchi dell’esercito americano per trasferire interi battaglioni, lunghi 50 metri, con un’apertura alare di 48.

I loro portelloni posteriori non hanno ancora finito di aprirsi completamente che già sono sbarcati 50 militari della Delta Force.

Divisi in coppie, trasportano fusti di benzina con cui costellano il perimetro della pista di atterraggio, chiudendo al Boeing qualsiasi via di fuga. A meno di non voler far scoppiare un incendio.

Sono pronti ad assaltare il Boeing.

Ma 300 avieri della VAM, i militari italiani che si occupano della vigilanza e della sicurezza degli aeroporti militari, li anticipano. E nonostante siano tutti giovanissimi -visto che, fondamentalmente, tutti in servizio di leva, quindi tra i 18 e i 21 anni- agiscono senza alcun timore reverenziale.

Si dispongono a cerchio, le spalle al Boeing. Il messaggio è chiaro: di qui non si passa.

Gli uomini della Delta Force, però, non desistono e circondano gli italiani.

Il loro ordine è di arrestare l’equipaggio del Boeing.

Non saranno dei ragazzini a fermarli. A costo di dover usare le armi.

Steiner lo urla, i ragazzi della VAM hanno paura. Ma non si muovono.

I minuti sono lunghi, però diventano infiniti quando una colonna di mezzi dei Carabinieri arriva -armi in pugno- a schierarsi attorno agli americani. Contro gli americani.

Tre cerchi concentrici di militari alleati nella NATO (Italia e Stati Uniti), con al centro un Boeing di linea egiziano.

Sono pronti a spararsi tra di loro.

Chi per difenderlo, chi per aggredirlo.

Ma tutti per rivendicarne la giurisdizione, come direbbero i burocrati.

Gli occhi del mondo sono tutti rivolti su Sigonella.

Perché questo non è solo l’inizio della crisi politica e militare più grande della storia Atlantica.

Qui, se parte un solo colpo, è una carneficina.

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