Finisce male al Senato, a strillacci e accuse reciproche dai banchi di maggioranza e opposizione, il voto sulle mozioni sul 25 aprile, ieri in tarda mattinata. Ed è un termometro del clima della vigilia della festa della Liberazione che si celebrerà in tutta Italia martedì prossimo. La destra vota la mozione della minoranza, non può non farlo, la minoranza si rifiuta di ricambiare il gesto.

Era successo mercoledì scorso che la maggioranza, appreso dai media che l’opposizione avrebbe presentato una mozione unitaria ispirata al discorso che la senatrice a vita Liliana Segre ha tenuto all’inaugurazione della legislatura a palazzo Madama e alle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha deciso di presentare una mozione propria. Puntando a costringere le opposizioni a votarla.

Ma non era possibile, e il perché lo spiega il capogruppo al Senato del Pd Francesco Boccia: «La nostra mozione voleva unire tutte le forze politiche di questa aula nel segno del discorso di Liliana Segre, fatto nel primo giorno di questa legislatura. Quel discorso ci ha ricordato quali sono le date che uniscono la nostra Repubblica e che la nostra è storia antifascista», «Pensavamo che le parole di Segre e quelle di Mattarella fossero sufficienti per riconoscersi in quelle radici. Invece no. Quella lezione data da Liliana Segre non è bastata, visto che la maggioranza ha sentito la necessità di presentare un’altra mozione».

Boccia si riferisce a tutte gli svarioni degli scorsi giorni da parte degli esponenti di maggioranza e governo, sulle Fosse Ardeatine, su via Rasella: «Chi non pronuncia mai la parola antifascismo rischia di umiliarne la memoria. Via Rasella fu un atto di guerra. E i partigiani che fecero quel gesto erano dalla parte giusta della storia».

Per il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan, che pure è un ex Forza Italia, invece il tema dell’antifascismo non deve esistere perché la parola «antifascismo» non è scritto nella nostra Carta. E il vero problema per la sinistra sarebbe l’abiura di tutti i totalitarismi, soprattutto del comunismo. Ma qui non si passa: dal Pd sale un muro invalicabile. Interviene Walter Verini: «Non abbiamo imbarazzo alcuno a ribadire giudizi drasticamente inequivocabili su tragedie della storia del Novecento», avverte, «i lager sovietici, i massacri staliniani. Abbiamo ogni anno reso omaggio alle persone massacrate nelle foibe, ai profughi giuliano-dalmati. Ma nel nostro paese c’è stato un regime fascista. E i comunisti italiani si sono battuti per la libertà. Se oggi tutti noi siamo qui, è perché in Italia ci sono stati la Resistenza antifascista e il 25 aprile».

Le opposte mozioni

Nel merito, la mozione delle opposizioni si chiede per quale motivo il 25 aprile, festa della Liberazione, il Primo maggio, festa del Lavoro, il 2 giugno, festa della Repubblica debbano essere vissute come «date divisive» e non con «autentico spirito repubblicano» e impegna il senato «ad adottare le iniziative necessarie affinché le commemorazioni delle date fondative della nostra storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica condivisa».

Il testo delle destre invece fa un gran minestrone. Nell’elencare le date «che ricordano momenti fondamentali della storia dell’Italia unita, libera e democratica» mischia il 25 aprile con il il 9 novembre «Giorno della libertà, quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino». Punta insomma a equiparare l’antifascismo con l’anticomunismo come valori costituzionali, cosa insostenibile visto che la Carta fu scritta anche dai comunisti italiani. E in chiusura chiede che «tutte le istituzioni» e «tutte le forze politiche», nelle celebrazioni non colgano «occasione per attacchi ad avversari che pure si riconoscono nei principi».

Una gran polverone storico, ispirato, parola per parola, alla risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 «contro ogni potere totalitario, a prescindere da qualunque ideologia, e segnatamente contro il nazismo, il fascismo, il comunismo». Un testo che aveva già diviso i socialisti europei, e che mischiava circostanze storiche molto diverse.

Proprio come quello della destra nostrana, secondo il rossoverde Peppe De Cristofaro: «Ci sono date che non sono solo ricorrenze, ma riti fondativi di una Repubblica basata su valori che tutti condividono: la Festa della Liberazione, la Festa dei lavoratori e delle lavoratrici, la Festa della Repubblica. Non ricorrenze qualsiasi: sono i pilastri su cui si basa la Repubblica democratica. Quei valori devono accomunare, non dividere e contrapporre».

Finisce che la mozione delle minoranze viene comunque approvato all’unanimità (tranne uno, il senatore di Fratelli d’Italia Paolo Marcheschi si astiene). Quello presentato della maggioranza passa con i voti della sola maggioranza, contrari Pd, rossoverdi, astenuti (per ragioni misteriose) Terzo Polo e Cinque stelle. Il voto finisce con la maggioranza imbufalita che urla «vergogna, vergogna».

Alla presidenza dell’aula si danno il cambio Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Quest’ultimo lupus in fabula: il 31 marzo aveva detto che i soldati uccisi dai Gap in via Rasella, il 23 marzo 1944, erano «una banda musicale di semi pensionati e non biechi nazisti delle SS»; salvo poi ritrattare, in qualche maniera. La Russa è stato attento a rinfocolare le polemiche. E ai cronisti ha promesso che il 25 aprile farà «una cosa che metterà d’accordo tutti». L’anno scorso, di questo periodo, dichiarava di non vedere l’ora di «liberarsi dalla Liberazione».

In tutto questo c’è anche una mezza scivolata del Pd. La mozione viene chiamata «Mozione Segre», proprio perché ne ricalcava le parole, e perché puntava a rendere impraticabile il no delle destre. Missione compiuta, ma la senatrice a vita, sopravvissuta al lager, di buon mattino fa sapere che non ci sta a farsi tirare in mezzo agli scontri politici fra maggioranza e opposizione, neanche in nome del 25 aprile. Con un comunicato precisa «di non essere promotrice, né firmataria di alcuna mozione, di quelle in discussione nell’aula del Senato».

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