La premier evita la polemica, ma i suoi polemizzano sugli scontri. Da Giuli la conferma dei fondi per il museo della Resistenza a Milano. Salvini: «Serve la liberazione dall’imbecillità», Tajani: «No divisioni»
«La nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella Costituzione repubblicana». Il messaggio di Giorgia Meloni, diffuso in mattinata, sembra indice di un basso profilo insolito per la destra in occasione del 25 aprile.
In effetti, fin dal giorno precedente alla celebrazione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, Fratelli d’Italia aveva mostrato un certo impegno – seppure nei limiti, come ha dimostrato la ritrosia di Ignazio La Russa ad alzarsi durante la celebrazione in Senato – nel rispetto di una ricorrenza che pure per la destra continua ad avere un carattere divisivo, come dimostra anche la seconda parte del messaggio della premier. «Oggi rinnoviamo il nostro impegno affinché questa ricorrenza possa diventare sempre di più un momento di concordia nazionale» scrive Meloni, che raccomanda comunque di tenere alta l’attenzione «contro ogni forma di totalitarismo, autoritarismo e violenza politica».
Ma l’eco delle sue parole non è ancora cessato quando, a ricordare da che parte sta la premier, le agenzie battono la notizia di una «visita di cortesia» di Viktor Orbán, tra i primi ad arrivare per i funerali di papa Francesco di stamattina, a palazzo Chigi. Meloni e il premier ungherese si confrontano per un’ora, ma l’elefante nella stanza sull’agenda della premier resta la prospettiva di un incontro a margine di Donald Trump con Ursula von der Leyen, prospettiva che continua a preoccupare la presidente del Consiglio. Trump, dal canto suo, ha annunciato che incontrerà Meloni e potrebbe vedere Volodymyr Zelensky, ma il suo «vorrei vedere tutti i leader», pronunciato già giovedì lascia aperta la strada ad altri scenari. Resta il fatto che per la premier la partita che conta è quella dei dazi: tradotto, non è il caso di sollevare polemiche sul 25 aprile.
Doppia faccia
E mentre una parte del suo partito aderisce all’operazione discrezione della destra sul 25 aprile, un’altra tiene il punto sulle priorità della comunità missina da cui il partito di Meloni prende le mosse. E così, mentre il ministro della Cultura Alessandro Giuli che conferma lo stanziamento di 6,5 milioni di euro per la realizzazione del museo nazionale della Resistenza a Milano, Elisabetta Gardini addirittura si appropria dell’interpretazione autentica del significato della Liberazione: «A ricordare il valore autentico di questa giornata ci ha pensato il ministro Giuli» dice, polemizzando sulle tensioni che hanno accompagnato le manifestazioni in tutta Italia, per lo più rivolte alla Brigata ebraica.
Le dà manforte Augusta Montaruli, che fa leva sulle manifestazioni davanti alla sede di FdI in un quartiere di Torino per accusare la sinistra di aver ignorato la raccomandazione alla sobrietà del ministro Nello Musumeci. «Aveva ragione il governo, ben consapevole che ormai le manifestazioni organizzate dalla sinistra si accompagnano ad eccessi e provocazioni» dice la vicecapogruppo.
Scartare per distinguersi
Se FdI si contiene, la Lega cerca attivamente un modo per smarcarsi dalle ambiguità della destra sul 25 aprile: già durante le celebrazioni parlamentari gli interventi dei leghisti erano diretti lontano dalla polemica. Venerdì mattina lo stesso Matteo Salvini, pur non partecipando a nessuna celebrazione, ha messo da parte almeno momentaneamente certa retorica da uomo forte citando la Carta di Chivasso: «Il federalismo garantirà nel futuro assetto europeo una pace stabile e duratura… unica garanzia contro un ritorno della dittatura» scrive su X, chiudendo con un «Viva la libertà» che ricorda la scorciatoia storica impiegata da Silvio Berlusconi già molti anni prima. Poi, nel corso della giornata, torna sui tafferugli di Torino e si augura «la liberazione dall’imbecillità», sulla stessa falsariga di La Russa: «Il tentativo di issare la bandiera di Hamas a Porta San Paolo, gli insulti allo stato di Israele, le minacce al sindaco di Torino e le aggressioni alla forze dell'ordine sono tutti gesti molto gravi e che trovano la mia ferma e totale condanna».
Più conciliante Antonio Tajani, che ha onorato la giornata deponendo una corona alle Fosse Ardeatine in mattinata e spostandosi poi a Ferentino per omaggiare don Giuseppe Morosini, cappellano militare, entrato nella resistenza anti-nazista dopo l’8 settembre. «Oggi non è una giornata di divisione ma la giornata della libertà» ha detto il ministro azzurro. «Perché se noi andiamo a vedere chi erano quelli che combattevano, erano di tante idee diverse,, accomunati dall’amore per l’Italia e per la libertà. C’erano comunisti, socialisti, democratici, liberali, azionisti, che avevano messo da parte le loro ideologie»
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