L’accordo con l’Albania sui migranti è stato in realtà un silenzioso lavoro di squadra con i ministeri degli Esteri, Interni, Giustizia e Salute iniziato ad aprile scorso, ma Giorgia Meloni si è presa lo spazio mediatico dell’annuncio in occasione della visita del suo omologo Edi Rama.

Del resto, il progetto era troppo complesso e richiede una partecipazione ampia di tutti gli attori in causa, che non poteva rimanere chiuso dietro alle pesanti porte di palazzo Chigi. «Una fake news», viene bollata quindi da fonti di governo la tesi che la premier abbia fatto tutto da sè, lasciando all’oscuro i suoi ministri e gli alleati come già è capitato in altre occasioni. 

I riscontri ci sono e anzi il vertice della filiera che ha prodotto l’accordo è stato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a cui Meloni ha chiesto di attivarsi già nell’aprile scorso. Lo staff del ministro conferma, infatti, che il negoziato con l’Albania è stato condotto direttamente dalla Farnesina. Un lavoro lungo e silenzioso, che si è tradotto in almeno tre missioni a Tirana.

Non solo, però. Trattandosi di una iniziativa senza precedenti anche a livello di organizzazione e burocrazia italiana, accanto a quelle con i vertici albanesi si sono sempre svolte in parallelo riunioni interministeriali a Roma. Ministeri coinvolti: Esteri appunto, il ministero dell’Interno di Matteo Piantedosi, il ministero della Giustizia di Carlo Nordio e quello della Salute di Orazio Schillaci. Delle missioni estere e delle riunioni interne, Meloni è sempre stata aggiornata proprio da Tajani, che è stato il vero gestore operativo della parte di costruzione dell’accordo.

Chi sapeva

Tutti, per la loro parte di competenza, sono stati all’opera sotto stretto vincolo di riservatezza in quello che è stato un accordo su cui Meloni sta investendo molta della credibilità del governo, anche a costo di sfidare l’Unione europea. La vacanza albanese di quest’estate della premier, dunque, è stata solo una delle tappe di rifinitura dell’accordo ma il lavorio sottostante era ben precedente.

Adesso che l’accordo c’è, per quanto se ne conoscano solo le linee generali, il ruolo del ministero degli Esteri andrà a sfumarsi per passare il timone all’Interno e alle sue direzioni generali per mettere a terra il progetto dal punto di vista operativo e di gestione. Come spiega lo staff ministeriale Tajani, infatti, nei mesi scorsi la polizia di Stato è già stata a Tirana con una missione concertata tra Farnesina e Viminale. Insomma, Tajani e Piantedosi non sono caduti dalle rispettive seggiole quando Meloni ha annunciato di aver concluso l’accordo con Rama. 

Tra i leader di partito di maggioranza, dunque, l’unico a non avere avuto un ruolo operativo sulla questione è stato Matteo Salvini: il suo dicastero non è funzionalmente interessato dal tema e dunque non c’era ragione di averlo al tavolo. Tuttavia, fonti di palazzo Chigi confermano che anche lui era informato di quanto stava accadendo in quanto vicepremier. Del resto, anche la Lega aveva – con Piantedosi - un ministro seduto al tavolo della riunione interministeriale. Tutti i leader politici maggiori dell’alleanza, dunque, erano informati dell’accordo in corso e altrettanto lo sono stati anche tutti i soggetti che hanno avuto un ruolo operativo nel lavoro. Un numero di persone piuttosto ridotto ma non esiguo, da cui sono effettivamente rimasti tagliati fuori i ministri che però non avevano titolo formale (o politico) per essere informati.

Tutte «ricostruzioni fantasiose», come le ha bollate la presidenza del Consiglio, quelle sul fatto che Meloni non abbia condiviso le mosse con i suoi, allora? Il dato di realtà è che l’accordo con Rama è stato chiuso grazie ad un coordinamento di più ministeri e con un lavoro lungo sette mesi. Esiste però una quota di fastidio dentro la maggioranza, su come è stato gestito il passaggio finale.

In particolare, dice una fonte qualificata nella Lega, rispetto a come l’annuncio dell’accordo è stato fatto da Meloni. I tempi e i modi di un annuncio che ha assorbito tutta l’attenzione mediatica, infatti, non sarebbero stati condivisi con i colleghi. L’annuncio dell’incontro di lunedì con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, a cui è seguito l’annuncio del patto firmato è infatti stato reso noto poche ore prima che avvenisse.

Meloni, che si considera in tutto e per tutto la finalizzatrice di ogni azione di governo, si è infatti assunta personalmente la regia politica dell’operazione e dunque anche la luce mediatica che questa ha prodotto, accentrando su palazzo Chigi oneri e onori. Una pratica, questa, che è diventata il marchio di fabbrica della premier, la quale si è presa uno spazio sempre maggiore proprio nella gestione della questione migratoria. Inevitabile ricordare che l’elezioni europee di maggio sono alle porte, che i tre partiti di maggioranza saranno in competizione tra loro e che la campagna elettorale avrà bisogno di argomenti identitari. Da come si è mossa, Meloni potrà rivendicare per FdI proprio la gestione dell’immigrazione, rubando a Salvini il suo storico cavallo di battaglia.

 

© Riproduzione riservata