Chi nasce tondo non può morire quadrato. Un detto che non sembra valere per il Movimento cinque stelle che dopo avere vinto le elezioni del 2018 giurando di non allearsi con nessuno e con posizioni a dir poco ambigue sull’Europa, ora il 10 e 11 febbraio è chiamato a votare sulla piattaforma Rousseau la sua metamorfosi in forza di sostegno al governo di unità nazionale del premier incaricato, Mario Draghi. Il cammino che ha portato in tre anni gli irriducibili grillini ad allearsi con il Pd «di Bibbiano» e con il «pericoloso» Salvini è a dir poco singolare e merita di essere ripercorso. 

L’odi et amo leghista

Era il 4 marzo 2018 e le politiche avevano certificato il successo elettorale dei Cinque stelle. Con il 33 per cento dei consensi, quello che fino ad allora era stato un movimento di protesta si ritrovava prima forza del paese chiamata a costituire un governo con tutte quelle forze politiche finora disprezzate. Nel corso della campagna elettorale, il Movimento e il suo candidato premier, Luigi Di Maio, non si erano certo risparmiati nei “complimenti” agli altri partiti dicendo di non essere disponibili a fare alleanze con chi aveva «svenduto e imbrogliato gli italiani».

Durante una conferenza stampa, Di Maio aveva per esempio accusato la Lega di dovere ancora restituire i famosi 49 milioni agli italiani e in un’intervista alla Stampa aveva ricordato le alleanze pericolose dei leghisti con l’ultradestra di Afd. Salvini rispediva al mittente le critiche dicendo ai grillini: «Cambiate idea ogni quindici minuti». La storia avrebbe poi dimostrato che ciò avviene a ogni crisi di governo. Infatti passate le elezioni, il Movimento si trova stretto tra i due Matteo. Il Pd di Renzi e la Lega di Salvini sono i due alleati più appetibili per formare un nuovo governo. A risolvere l’impasse arrivano la decisione di Renzi di bloccare ogni trattativa e un incontro tra Di Maio e Salvini che fa nascere il governo Conte.

Un governo val bene un Bibbiano

È la prima volta che il Movimento si allea con un’altra forza politica, ma almeno il pericolo dell’alleanza con l’odiato Renzi sembra essere scampato. Tanto meglio visto che nel frattempo a Bibbiano è scoppiato uno scandalo su alcuni affidi illeciti di minori. Nell’indagine finisce indagato anche Andrea Carletti, il sindaco Pd della città che viene accusato per abuso d’ufficio, un reato che non determina in alcun modo una sua eventuale consapevolezza su quanto avvenisse nelle strutture.

La situazione non può non richiamare i grillini che si affrettano ad accusare, senza alcuna base, il Partito democratico di essere coinvolto nelle violenze sui minori. Nel Movimento c’è chi prende così a cuore la vicenda da volerci dedicare un libro. Si tratta dell’ex deputato Alessandro Di Battista, che annuncia un accordo con Fazi editore per «rompere il muro di silenzio» sulla questione. Ma prima che il libro possa essere dato alle stampe ecco che la situazione politica cambia improvvisamente e i democratici diventano di colpo interlocutori per un nuovo governo. Il successo leghista alle Europee ha ribaltato i rapporti di forza tra Movimento e Carroccio, convincendo Salvini ad annunciare dal Papeete la fine del governo giallo verde.

Tramortiti al dimezzamento dei consensi delle Europee, i Cinque stelle si buttano a sinistra scoprendo nel Pd e anche in Matteo Renzi degli alleati di governo preziosi per evitare la prova elettorale. Una decisione che fa sparire tutte le accuse su Bibbiano e anche il libro di Di Battista che decide che il «silenzio assordante» può aspettare fino a data da destinarsi.

La crisi di gennaio 2021 causata da Italia viva ha visto ancora una volta i Cinque stelle cambiare idea e affidarsi nella ricerca dei responsabili anche al tanto vituperato Clemente Mastella. Ora la decisione su Draghi potrebbe quindi essere il degno coronamento del percorso di “responsabilità” di un partito entrato in parlamento per non allearsi con nessuno e che potrebbe concludere la propria legislatura come asse portante di un governo di unità nazionale. 

Europeisti o forse no

Anche il rapporto con l’Unione europea ha visto delle singolari piroette. Nella campagna elettorale, Di Maio aveva definito l’uscita dall’euro «necessaria» per liberare l’economia della «landa desolata del Sud» e i Cinque stelle avevano iniziato la raccolta firme per indire un referendum sull’uscita dalla moneta unica. Le intenzioni sembravano abbastanza chiare. Ma a rassicurare gli europeisti era intervenuta la futura viceministra all’Economia, Laura Castelli, che aveva specificato che la raccolta di firme non significava la volontà di uscire dall’euro e che anzi lei «non sapeva» come avrebbe votato di fronte a un quesito simile. 

Insomma «nulla di serio» direbbero Aldo, Giovanni e Giacomo. Chi non era sembrato molto tranquillizzato era il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che un anno dopo avrebbe bloccato la nomina dell’euroscettico Paolo Savona a ministro dell’Economia nel governo Conte I attirandosi accuse pesantissime da parte di Di Maio. L’attuale ministro degli Esteri aveva accusato il capo del Quirinale di diffondere «notizie false» e ne aveva chiesto l’impeachment. Ma ora di fronte alle urne che avanzano sia Mattarella sia un europeista come Draghi sembrano essere improvvisamente utili. Almeno fino alla prossima crisi.

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