Fratelli d’Italia ha passato gli ultimi mesi ad accreditarsi sul piano internazionale come un partito conservatore, ma atlantista ed europeista. Giorgia Meloni sfrutta all’occorrenza anche la sua carica di presidente del Partito conservatore europeo, fondato nel 2009 per dare una casa e un gruppo nel parlamento europeo alla destra nazionalista.

In una lettera pubblicata sul Foglio, ha rifiutato l’etichetta di antieuropeista, scrivendo che «è tempo di una Europa più forte», ma diversa dall’attuale: «Confederale, rispettosa della sussidiarietà e delle sovranità nazionali, che faccia meno cose ma le faccia meglio». Cosa Fratelli d’Italia intenda, però, è chiaro da un disegno di legge di riforma costituzionale presentato alla Camera nel 2018, a prima firma proprio di Meloni.

L’Italexit nascosta

La proposta prevede la cancellazione dalla Costituzione dei tre riferimenti all’Unione europea, contenuti in altrettanti articoli: il riferimento dell’articolo 97 al fatto che le pubbliche amministrazioni assicurino l’equilibrio dei bilanci in coerenza con l’ordinamento Ue; il 117 nella parte in cui prevede che lo stato eserciti la sua potestà legislativa nel rispetto dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali; il 119, che prevede che anche regioni e comuni soggiacciano ai vincoli comunitari.

Di fatto, si tratta di un pacchetto di proposte che porterebbe l’Italia fuori dalle regole dell’Unione europea perché elimina qualsiasi riferimento al principio della cosiddetta “preminenza” del diritto dell’Ue. Un principio che si fonda sull’idea che, nel caso in cui sorga un conflitto tra un aspetto del diritto comunitario e una legge di uno stato membro, prevalga il diritto dell’Ue, che ovviamente interviene solo negli ambiti previsti dai trattati europei. Senza, verrebbe meno ogni possibilità per l’Ue di mettere in pratica politiche comuni agli stati membri.

Il primato del diritto interno

Fratelli d’Italia, invece, vorrebbe sancire con previsione costituzionale il primato del diritto interno rispetto al diritto dell’Ue, facendo un passo indietro di settant’anni nella storia del diritto comunitario. «Non è contro l’Europa, ma è per la nostra dignità nazionale e per la nostra libertà», è stato nel 2018 il commento dei firmatari della proposta.

Non basta cancellare alcune frasi in Costituzione per uscire dall’Ue perché l’Italia rimarrebbe comunque vincolata dalla firma dei trattati comunitari, ma una riforma costituzionale così articolata va nella direzione di mettere in discussione uno dei pilastri dello stato di diritto europeo.

Sulla scia della Polonia

Proprio in questa direzione si sta muovendo la Polonia, guidata dal presidente sovranista ultraconservatore e molto vicino a Meloni, Andrzej Duda. Nel 2021, infatti, una sentenza della Corte costituzionale polacca ha riconosciuto espressamente la supremazia del diritto interno polacco su quello europeo.

La pronuncia è intervenuta in seguito ad una sentenza della Corte di giustizia europea che censurava la riforma della giustizia appena approvata dal governo che prevedeva forme di controllo dell’esecutivo sul potere giudiziario. La sentenza costituzionale polacca è stata pronunciata su sollecitazione del governo, che nel corso degli ultimi anni ha nominato molti giudici costituzionali e che ha dimostrato di non gradire le ingerenze europee nelle scelte politiche interne.

La proposta di legge di FdI è addirittura più estrema: quella polacca è una modifica di orientamento giurisprudenziale, quella italiana è ma una riscrittura della Costituzione. Se alla guida del prossimo governo ci fosse Meloni, con una maggioranza di due terzi del parlamento, la riforma potrebbe venire approvata senza la possibilità di referendum costituzionale. In questo modo, l’Italia finirebbe ben oltre la Polonia sul piano dello scontro con gli organi comunitari.

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