Enrico Letta non ha dubbi: «Il governo arriverà a fine legislatura», ha spiegato ieri a Sorrento a margine del Forum “Verso Sud”. In realtà qualche dubbio sull’affidabilità dell’alleato Letta ormai lo ha, e infatti ha aggiunto un avviso, interpretando anche l’irritazione di palazzo Chigi: «Questo è l’ultimo governo della legislatura, dovesse cadere, si andrebbe al voto». Il riferimento è agli ormai quotidiani strattoni del leader M5s, Giuseppe Conte, verso gli alleati e verso lo stesso esecutivo. E a quell’idea, che Conte ha messo in circolo, di una mozione contro il terzo decreto per l’invio delle armi in Ucraina. Il 19 maggio Draghi andrà in parlamento per un’informativa sulla guerra. Da regolamento non è previsto un voto. Ma i Cinque stelle lo chiedono, a meno che non bluffino.

I tempi della calendarizzazione di una eventuale mozione, che tenterebbe anche Leu, però sono lunghi. Difficilmente arriverebbe prima delle amministrative del 12 giugno. Quelle nelle quali il Pd, forse per l’ultima volta, ha tenuto unito il fronte giallorosso. Ieri a mezzogiorno è scaduto il termine per la consegna delle liste: andranno al voto nove milioni di persone, 978 comuni, di cui 756 di regioni a statuto ordinario (in Valle d’Aosta si vota oggi, in Trentino il 29 maggio). Votano ventisei capoluoghi di provincia di cui quattro di regione (Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo).

Strappa, non strappa

«Ma no, Conte non strappa. Conte deve solo shakerare il suo movimento, da un certo punto di vista è comprensibile». Francesco Boccia, ex ministro delle Regioni e responsabile enti locali Pd, prova a convincerci che tutto quello che sappiamo, a proposito di un’imminente rottura fra Pd e M5s, è falso. «Il campo largo noi lo costruiamo davvero. Facciamo la stessa cosa che abbiamo fatto nel 2021. E alla fine abbiamo avuto ragione, con il doppio turno siamo riusciti quasi sempre a prevalere. Certo questa volta è un po’ più difficile. Vanno al voto le città del 2017, quelle che Renzi ha quasi tutte perso.

Oggi, dei ventisei capoluoghi che rinnovano le amministrazioni, venti sono di centrodestra e cinque di centrosinistra. Uno, Parma, era perso da 24 anni, ma ora l’uscente Federico Pizzarotti è in alleanza con noi e il candidato sindaco, Michele Guerra, è molto vicino a noi. E vinceremo». Ancora: «Peraltro a questo giro non abbiamo neanche avuto le difficoltà della tornata di sei mesi fa. Comunque abbiamo vinto: dove non eravamo insieme, Roma e Torino, e dove eravamo insieme, Bologna e Napoli. Sono andate al voto circa 130 città e, nonostante le tensioni, oggi i Cinque stelle ne amministrano con noi quaranta».

Stavolta sulla carta le cose stanno messe meglio. Pd e M5s vanno insieme nel 70 per cento dei casi. I grillini praticamente non hanno candidati, e quasi mai presentano il simbolo. «Ma se si parte dal simbolo», dice Boccia, «bisognerebbe prima dire che Italia viva lo presenta in due città su ventisei, e lo stesso Azione. M5s in tredici su ventisei, ma perché ci sono molte civiche. Solo il Pd presenta il suo simbolo in ventisei capoluoghi su ventisei». Conclusione: «Gran parte della stampa enfatizza molto le tensioni, le difficoltà. Ma la verità è che la logica coalizionale va avanti».

Arlecchino giallo-rosso

Detta così è convincente, ma se si scorre la lista delle situazioni locali, le idee si ingarbugliano di nuovo. Dove i giallorossi sono uniti le possibilità di vittoria sono scarse, vedasi Genova e Palermo. E dove no, sono alte, vedasi appunto Parma. Ma Palermo e Genova sono, per Boccia «due vicende eccezionali». In entrambe Italia viva sostiene il candidato della destra. E così a Verona, dove Iv con Forza Italia spinge per il ritorno di Flavio Tosi, leghista scissionista, mentre il centrosinistra sostiene l’ex calciatore della Roma Damiano Tommasi, con il sì di Conte. A Monza, Lodi e Como Pd e M5s si presentano in coalizione (ma M5s è in una civica). A Piacenza i Cinque stelle non presentano la lista. Nel Lazio i giallorossi vanno uniti a Viterbo, a Frosinone e anche a Rieti (qui il simbolo pentastellato “ConTe” è con Simone Petrangeli). Italia viva si tuffa nella lista “Rieti al centro” con Cambiamo! di Giovanni Toti e Coraggio Italia di Luigi Brugnaro, per il candidato di destra Daniele Sinibaldi, sostenuto dal sindaco uscente, Antonio Cicchetti: quello che sabato scorso ha lanciato la campagna elettorale con un sonoro «Boia chi molla».

Scendendo al sud, a Taranto Pd e M5s corrono insieme, non a Barletta, sì invece a Messina e con buone possibilità di vittoria. Sì a Pistoia, no a Lucca. Sì a Oristano (ma non c’è il simbolo M5s). E sì a Catanzaro, dove il centrodestra si è riunito sul candidato di Iv Valerio Donato.

La destra non ride

Morale provvisoria: per il campo largo le amministrative sono una bomba a orologeria, il centrosinistra faticherà a espugnare qualche città, i grillini di fatto non si peseranno. E alla fine la resa dei conti interna sarà inevitabile. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Nel centrodestra i rapporti fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono al minimo storico, anche se viene giurato che questo non c’entra con le spaccature in cinque città (Parma, Verona, Viterbo, Catanzaro e Messina).

Nelle altre (Alessandria, Asti, Barletta, Belluno, Como, Cuneo, Frosinone, Genova, Gorizia, Spezia, Aquila, Lodi, Lucca, Monza, Oristano, Padova, Palermo, Piacenza, Pistoia, Rieti, Taranto) la coalizione si presenta formalmente compatta, ma la vera partita è tutta interna: pesare il centrodestra di governo rispetto al centrodestra di opposizione. Di Catanzaro abbiamo detto: forzisti e leghisti sostengono un renziano, FdI appoggia Wanda Ferro.

A Messina la Lega corre sola e FI e FdI appoggiano Maurizio Croce. A Parma Lega e Forza Italia sostengono Pietro Vignali, mentre FdI sta con Priamo Bocchi. Anche di Verona abbiamo già detto: FI con Iv con Tosi, FdI e Lega puntano sull’uscente Federico Sboarina. A Viterbo la destra rischia di perdere una sua roccaforte: FI sostiene il candidato della Lega Claudio Ubertini, FdI lancia Laura Allegrini, la piddina Alessandra Troncarelli ha incassato il sì grillino al fotofinish.

Il grande botto

Da una parte e dall’altra si minimizza: «Ho visto molto di peggio. Direi che il bicchiere è pieno per tre quarti: siamo soddisfatti», dice per il centrodestra Maurizio Gasparri (FI). «L’alleanza con i Cinque stelle è la scelta che stiamo facendo nelle amministrative e che faremo anche alle prossime politiche», dice Letta. Che però viene smentito da Conte: «Non abbiamo sottoscritto un documento che ci blinda in una alleanza col Pd». Il grande botto riuscirà a non esplodere prima del 12 giugno, o dei ballottaggi? Dopo l’incontro del 9 maggio fra Letta e Conte si è alzato il livello di allerta. Per martedì è convocata una direzione.

Le distanze sull’inceneritore romano si stanno accorciando, grazie al lavoro dei pontieri e anche perché il tema divide anche i grillini. Più insidioso l’invio delle armi all’Ucraina, che ora si intreccia al sì che il parlamento dovrà dare all’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia. Conte ha lasciato intendere che il movimento prepara una mozione per il no alle armi.

Letta davanti ai cronisti ostenta pazienza: «Se deve esserci un voto si voti, noi non abbiamo paura». Ma stavolta si è decisamente irritato. Se il voto dovesse esserci, le conseguenze sarebbero chiare: il governo andrebbe a casa. Portandosi appresso, neanche a dirlo, le macerie del campo largo.

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