Il ponte sullo Stretto è tornato ancora una volta al centro del dibattito dopo che il governo ha ripreso in mano un progetto che negli ultimi 20 anni ha prodotto più spese che risultati.

Il costo dell’infrastruttura tra l’altro è anche lievitato nel tempo, passando dai 5 miliardi stimati nel 2001 ai 13,5 dichiarati nell’attuale progetto tecnico, senza considerare la spesa per consulenze e studi che già si aggira intorno a un miliardo.

Molti soldi dunque per un progetto fortemente criticato per l’impatto ambientale, il rischio di infiltrazioni mafiose e per il diverso uso che potrebbe essere fatto di quella stessa cifra in una parte dell’Italia in cui il trasporto pubblico è particolarmente carente.

Il ponte sullo Stretto però non è visto con interesse solo dalle grandi aziende costruttrici. Dietro questa mega infrastruttura ci sono anche interessi della Difesa – italiane ed europea – e della Nato.

L’opera infatti dovrebbe rientrare nel Trans-European Transport Network, progetto di mobilità europea pensato per migliorare i collegamenti all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui fa parte, in Italia, anche la Tav Torino-Lione.

Uno dei problemi più volte evidenziati dalla Nato è proprio quello della mobilità: ponti che non riescono a reggere il peso dei mezzi militari, paesi con collegamenti interni carenti, infrastrutture ormai vetuste o scartamenti delle linee ferroviarie diversi sono tutti elementi che rallentano il dispiegamento delle forze in tempi rapidi.

Con la guerra in Ucraina il tema è ovviamente tornato di attualità, tanto che l’Ue ha stanziato altri 790 milioni di euro per il Ten-T così da essere meglio preparata in caso di aggressione.

Su questa stessa linea si muove anche l’Ucraina, che ha promesso di adeguare lo scartamento dei suoi binari agli standard europei, compito di cui dovrebbe occuparsi l’italiana Mermec.

Ai fondi europei intanto spera di attingere il governo Meloni, che nella relazione presentata il 31 marzo specificava come il ponte sullo Stretto costituisce «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale».

Il ponte infatti dovrà servire a connettere in modo più efficiente le basi della US Navy di Sigonella e Napoli, ma in generale renderebbe più agevoli i collegamenti tra i le sedi militari Nato che si trovano su tutto il territorio italiano.  

Le aziende

Il legame con il mondo bellico si ritrova anche scorrendo la lista delle aziende che si occuperanno della costruzione del ponte. A partire da WeBuild (ex Impregilo Salini), azienda a cui era stato affidato il progetto vent’anni fa e che chiede adesso alla società Stretto di Messina, al ministero dei Trasporti e alla presidenza del Consiglio danni per 700 milioni.

A WeBuild è stato assegnato il raddoppio ferroviario dei treni sulla Palermo-Catania-Messina per un valore di 640 milioni di euro, ma l’azienda è anche azionista per il 45 percento di Eurolink, consorzio al quale il governo intende riaffidare l’incarico della progettazione esecutiva e della realizzazione del collegamento sullo Stretto.

WeBuild però non ha esperienza solo nel settore civile: nel suo portfolio sono presenti i lavori per l’ammodernamento dell’aeroporto militare di Capodichino, la costruzione della tratta dell’alta velocità Novara-Milano e del passante autostradale di Mestre. Queste ultime due opere, proprio come il ponte, sono utili per collegare le badi americane nel nord-est italiano.

Ad essere coinvolta nel progetto del ponte è anche la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna - CMC, che si è occupata a lungo del potenziamento infrastrutturale di Sigonella, della costruzione delle infrastrutture per ospitare i militari americani nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza e anche di una parte della Tav, opera ugualmente strategica sotto il profilo militare.

Oltre a WeBuild poi, tra gli azionisti di Eurolik c’è anche la Società italiane condotte d’acqua, che tra le altre cose ha realizzato un hangar di rimessaggio e alcuni fabbricati nella base elicotteri dell’Aviazione dell’esercito di Lamezia Terme e gli edifici per la Scuola allievi Carabinieri di Reggio Calabria.

Il caso Eurolink

C’è poi un altro aspetto che lega il ponte alla difesa. Alcuni giorni fa WeBuild ha nominato come nuovo presidente dell’Eurolink Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia e direttore della Direzione investigativa antimafia, passato poi a ricoprire il ruolo di presidente dell’azienda a compartecipazione statale Finmeccanica (ora Leonardo).

La nomina di un personaggio con il suo profilo sembra indicare che una delle priorità del consorzio sarà molto probabilmente quella della sicurezza dei cantieri, per evitare che si ripeta quanto accaduto in Val di Susa con il movimento No-Tav.

I comitati locali contro il ponte hanno già iniziato le loro mobilitazioni ed è facile immaginare che l’avvio dei lavori comporterà un aumento di manifestazioni e proteste per bloccare l’opera o quantomeno ritardarne la costruzione. Ritardi che danneggerebbero non solo gli interessi delle aziende e del governo, ma anche della Nato.

Il ponte sullo Stretto dunque è solo l’ultima conferma dell’importanza che la Sicilia riveste per l’Alleanza atlantica e per la difesa italiana. Sull’isola è presente la base di Sigonella, principale hub per le operazioni americane nel Mediterraneo, e il Muos, il sistema satellitare realizzato in una riserva naturale a Niscemi e gestito dal Dipartimento della difesa Usa, mentre di recente il ministero della Difesa aveva siglato un accordo per la costruzione sulle Madonie di un nuovo hub logistico-addestrativo.

Un progetto saltato a causa dell’opposizione dei movimenti locali ma non del tutto accantonato e che si inserisce in quella progressiva militarizzazione della Sicilia e di un Meridione in cui arruolarsi resta molto spesso l’unico modo per trovare lavoro. 

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