Mentre la Rai sovranista decolla – pur perdendo pezzi di pregio, come Lucia Annunziata, che ha annunciato le proprie dimissioni – il Pd si tiene stretto i pochi direttori che sono rimasti dopo l’occupazione da parte della destra. Eppure, la partita delle nomine dimostra come la segretaria dem Elly Schlein abbia avuto poca voce in capitolo anche nella scelta dei nomi di area da collocare nel servizio pubblico.

Nella riunione del Consiglio d’amministrazione, è andato tutto come previsto: Gian Marco Chiocci sarà al Tg1, Antonio Preziosi al Tg2, mentre per il Tg3 è stato riconfermato Mario Orfeo. La nomina del direttore del telegiornale della rete ammiraglia, arrivata per volontà della premier Giorgia Meloni, non è stata fermata neanche dai tentativi del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, uomo di Gianfranco Fini, di dissuadere il direttore generale Giampaolo Rossi. Era stato infatti proprio Chiocci a firmare lo scoop sulla casa di Montecarlo che aveva contribuito la fine politica di Fini: ora dovrà costruire il suo nuovo Tg1.

Nessuna sorpresa anche per le nomine per direzioni di genere: Marcello Ciannamea sarà direttore del Prime Time, Angelo Mellone del Day Time, Paolo Corsini andrà agli approfondimenti e Adriano De Maio della direzione di Cinema e Serie Tv. Proprio quest’ultimo nome è considerato – insieme alla nomina di Giuseppe Carboni alla direzione di Rai Parlamento – la contropartita all’astensione in Cda di Alessandro Di Majo, consigliere in quota M5s.

Ha votato invece contro le nomine Marinella Soldi, presidente Rai di fede renziana che nei giorni scorsi aveva lamentato la mancanza di donne ai vertici del servizio pubblico. Nonostante il suo impegno, la nuova Rai è pronta, come ha scritto l’ad in una lettera ai dipendenti: «È arrivato il momento di concentrarsi su un nuovo storytelling».

Problema dem

Rispetto ai Cinque stelle, che hanno raggiunto un accordo con Fratelli d’Italia, al Pd è andata meno bene. Riconducibili all’area dem sono soltanto Orfeo, Maria Pia Ammirati, direttrice di RaiFiction, e Silvia Calandrelli, a capo di RaiCultura. Ma, oltre al fatto che né Ammirati né Calandrelli siano del tutto organiche al Pd, visto che Ammirati che è gradita anche ad ambienti Cinque stelle e Calandrelli ha buoni rapporti con Rossi, ma gode anche della stima del Quirinale, si tratta esclusivamente di riconferme.

Nomi, insomma, che erano già stati scelti da un Pd con gestione diversa (Orfeo è considerato ancora renziano doc dalla sinistra del Pd) rispetto a quella attuale. Una circostanza che – risulta a Domani – è anche stata espressa esplicitamente all’amministratore delegato Roberto Sergio dai due uomini Rai di Schlein, il capogruppo al Senato Francesco Boccia e quello in commissione Vigilanza Rai Stefano Graziano. Che hanno fatto sapere a Sergio che Orfeo, Ammirati e Calandrelli non devono essere considerati «nomi di Elly». I due, sentiti, smentiscono, ma il messaggio è chiaro: di veri “schleiniani” a Viale Mazzini non ce ne sono.

Gli unici che sarebbero riconducibili davvero all’ala radicale del Pd in Rai sarebbero Serena Bortone – privata del suo programma quotidiano e che di recente ha pubblicato una foto con Laura Carafoli, responsabile della programmazione di Discovery – e Stefano Coletta. L’ormai ex direttore del prime time si è dovuto trasferire alla Distribuzione per fare spazio a Marcello Ciannamea.

Le ragioni di questa situazione sconveniente per Schlein sono principalmente due. Da un lato, raccontano in Rai, a differenza di Giuseppe Conte che si è attivato per tempo, la segretaria si è mossa con molto ritardo: ci è voluto parecchio anche soltanto scegliere a chi far gestire il dossier. Dall’altro, Schlein sconta la fragilità della sua posizione. La fiducia nella sua leadership è ancora piuttosto scarsa negli ambienti di viale Mazzini, e nessuno è disposto a esporsi senza avere certezza della propria ricompensa.

Ma, ormai, questo giro di nomine è acqua passata: ora, fino al 2024 c’è poco da fare. Dopo le elezioni europee scadrà il mandato di Sergio e quello della presidente Soldi. L’amministratore delegato, però, non vorrebbe lasciare il suo posto e potrebbe approfittare di uno sponsor inaspettato: se la performance elettorale della Lega sarà all’altezza, infatti, sostenere Sergio potrebbe permettere al Carroccio di evitare l’imposizione di Rossi, uomo di fiducia di Meloni.

Il nuovo appuntamento è quindi cerchiato in rosso anche per i dirigenti di via Bellerio, che sperano di incassare qualcosa in più di quanto hanno ottenuto quest’anno. Soprattutto per quanto riguarda i tg, infatti, il partito di Matteo Salvini ha portato a casa poco e niente, se non la direzione delle testate regionali che però aveva già in pugno. Ma la Lega ha iniziato a pensare anche alla poltrona della presidente, per la quale circola anche il nome di Calandrelli, oltre a quelli della consigliera d’amministrazione azzurra Simona Agnes – l’opzione preferita da Rossi, che vorrebbe un tandem uomo-donna – e quello di Antonio Di Bella.

L’ex direttore dell’approfondimento, in realtà, è andato in pensione lo scorso 16 maggio, ma sembra scontato che tornerà in video da opinionista. Per lui, in realtà, potrebbe aprirsi una possibilità molto più ghiotta: quella di subentrare ad Annunziata alla conduzione di Mezz’ora in più, che è già previsto nel palinsesto autunnale. In quel caso, l’ex direttore del Tg3, però, dovrebbe rientrare con un contratto di scrittura. Per ora l’interessato smentisce di esser stato contattato. Oltre al suo nome, per il post Annunziata viene fatto anche quello di Monica Maggioni, che intanto si è conquistata la direzione editoriale per l’offerta informativa. L’ex direttrice del Tg1, a quel punto, rinuncerebbe alla seconda serata che aveva già ottenuto: un nuovo spazio libero da assegnare.

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