L’ultima battaglia non era stata precisamente una battaglia, ma una rocciosa testimonianza. Mentre la sua Anpi si schierava contro l’invio delle armi italiane in Ucraina, alla Repubblica aveva consegnato la sua idea, che era diversa: «Un popolo che resiste contro l’invasore va aiutato con le armi».

Carlo Smuraglia, che è morto martedì notte all’età di 98 anni, non aveva insistito. Non aveva voluto dividere l’organizzazione di cui era stato presidente fino al 2017 ed era presidente onorario prestigioso, autorevole e amatissimo. Pochi giorni dopo, il 24 marzo, ci sarebbe stato il congresso dell’Anpi a Riccione.

Alla vigilia lo avevamo sentito mentre era in viaggio, allegrissimo, «felice di tornare a vedere i compagni in presenza», ma sulla questione delle armi aveva voluto tagliare subito: con la nuova presidenza dell’Anpi «siamo d’accordo su tutto, al 99 per cento, argomento chiuso».

Quel pomeriggio, a Riccione, Smuraglia ha partecipato al direttivo, a porte chiuse, dove con tatto si era affrontata la questione del dissenso. La mattina dopo il presidente Gianfranco Pagliarulo, pasdaràn del no alle armi, aveva chiamato per l’emerito un lungo applauso della platea. Ma Smuraglia non c’era. Non si era sentito bene, aveva preferito tornare a casa. 

Carlo Smuraglia era nato nel 1923 ad Ancona e molto presto si era unito alla resistenza marchigiana. Quando nel ‘44 nella sua regione erano arrivate le forze alleate si era arruolato volontario nel Gruppo di Combattimento "Cremona" del nuovo Esercito Italiano, alle dipendenze operative dell’ottava Armata britannica.

Dopo la guerra era diventato docente di diritto ed avvocato, con Lelio Basso era riuscito a far assolvere un gruppo di partigiani accusati di omicidio, aveva difeso la famiglia di Giuseppe Pinelli, l’anarchico accusato della strage di piazza Fontana nel dicembre del 69, morto  “caduto” dalla questura di Milano (per quello che la sentenza scritta da Gerardo D’Ambrosio definì un «malore attivo»).

Ma presto la passione politica aveva preso il sopravvento. Ma non è il il termine giusto per un uomo sempre misurato ed equilibrato:  dal 1970 viene eletto alla regione Lombardia per il Pci, ruolo che ricopre per quindici anni, poi diviene componente del Consiglio superiore della magistratura, infine eletto per tre volte senatore.

Antifascismo quotidiano 

 Al suo ultimo libro aveva lavorato a lungo, aveva curato e fatto curare ogni nota, ogni dettaglio. Carlo Smuraglia, il partigiano Carlo Smuraglia, il professore Smuraglia, l’avvocato, il tre volte senatore, era un perfezionista però soprattutto non amava il pressapochismo, neanche fra i suoi. Basta sfogliarlo, il saggio Antifascismo quotidiano, sottotitolo «strumenti istituzionali per il contrasto a neo fascismi e razzismi» (Bordeaux 2020).

Smuraglia, già novantasettenne ma lucido e attivissimo, voleva consegnare il suo lascito non solo all’Anpi, l’associazione dei partigiani di cui è stato presidente dal 2011 al 2017 e presidente emerito fino al suo ultimo giorno, ma all’intera cittadinanza di uomini e donne di «buona volontà». 

È una raccolta di saggi scritti da giuristi ma non riservato agli esperti di diritto, come scrive lui stesso nell’introduzione, «l’obiettivo è quello di dimostrare che oltre le più note modalità di contrasto al neofascismo il razzismo (le prese di posizioni, le contromanifestazioni, i presìdi, e così via) ci sono altri strumenti molto importanti al fine del raggiungimento di risultati concreti. Poiché si tratta di strumenti di tipo istituzionale, e chiaro che si parlerà necessariamente di leggi, di sentenze e di argomenti che, in altre più adatte sedi, meriterebbero ampie e approfondite discussioni, ma questi strumenti vanno conosciuti e utilizzati non solo degli esperti, ma dei cittadini che intendono reagire agli atti di arroganza e di violenza».

C’è tanto della lezione di Smuraglia in queste parole: voleva lasciare all’Anpi e a tutti una bussola, uno strumento per non opporre propaganda antifascista a propaganda fascista, ma cultura, competenza, cittadinanza consapevole, uso adulto della legge e della legalità repubblicana contro «l’arroganza e la violenza» neofascista e razzista. 

Mise Renzi ko

Smuraglia è stato in ogni momento della sua vita un esempio di competenza e misura. Ed è per questo che, da presidente dell’Anpi, nel settembre 2016 uscì vittorioso da un confronto difficile, quello con il “rottamatore” Matteo Renzi, allora presidente del consiglio e segretario del Pd, alla festa dell’Unità di Bologna. Smuraglia era il più prestigioso e autorevole rappresentante del No al referendum sulla riforma costituzionale che portava il nome dell’altro, Renzi, che su questa vittoria aveva scommesso il suo destino politico.

Fra i due c’erano più di cinquant’anni di differenza (Smuraglia quell’anno ne aveva compiuti 93, Renzi invece 41), il premier era in quei mesi imbattibile nella velocità e nella comunicazione. Le premesse poi erano sgradevoli: Maria Elena Boschi, ministra e firmataria della legge, aveva imbracciato la campagna contro i «falsi partigiani», cioè gli iscritti all’Anpi che per età non hanno fatto la resistenza. E l’Anpi stessa era divisa fra il sì e il no. Smuraglia giganteggiò. 

Lo scioglimento di Forza nuova

Una delle sue ultime battaglie, già da presidente emerito, è stata per la messa fuorilegge di Forza nuova, dopo l’assalto e la devastazione della sede nazionale della Cgil, nell’ottobre del 2021 a Roma. Ma anche in questo caso l’avvocato sorvegliava la passione politica. «Molti oggi chiedono lo scioglimento di Forza nuova», disse proprio al nostro giornale

«Precisiamo: spesso la richiesta di scioglimento non ha grande audience perché è un percorso lungo, per ottenerlo ci vuole un provvedimento giudiziario e uno di carattere politico. E i pochi precedenti che ci sono dimostrano che lo scioglimento è un obiettivo da perseguire ma sapendo che può essere lontano. Io cerco di spiegare sempre che è giusto dire che certe organizzazioni dovrebbero essere sciolte perché sono incompatibili con la Costituzione, ma nel frattempo possiamo ottenere provvedimenti immediati, urgenti, di pronto intervento».

Concretezza e competenza, appunto. «C’è una diffusa convinzione che il fascismo sia finito, e l’antifascismo sia una fissazione dell’Anpi. “Senza il fascismo l’antifascismo non serve”, mi viene detto» ci aveva detto sempre in quell’occasione. «Il nostro antifascismo oggi non è nostalgia dell’antifascismo di allora. È quello di oggi: non si possono tradurre in azione le idee che tanto male hanno fatto all’Italia. Gli assalti di sabato alla Cgil ricordano quelli delle camere del lavoro degli anni Venti. Per questo una delle nostre missioni è far conoscere gli strumenti anche legislativi e giudiziari per reprimere ogni tentativo di riportare in campo ciò che la Costituzione nel suo complesso ha rinnegato in pieno. Abbiamo una Costituzione totalmente antifascista, non solo perché vieta la ricostituzione di un partito fascista. Bisogna essere quotidianamente e personalmente antifascisti tutti i giorni, nel senso di essere contrari a qualunque manifestazione che in qualche modo vada contro il sistema che l’Italia si è scelta dopo la Liberazione, e che è la democrazia. Che non consente nulla che sia violenza, sopraffazione, uso della forza».

Tutti devono essere antifà militanti, era stata la nostra domanda un po’ ironica; la risposta era stata serissima: «Tutti devono essere affezionati della democrazia. Forti, perché quel passato è sconfitto e tramontato».

Smuraglia lascia la moglie Enrica, figli e nipoti. A loro la redazione di Domani porge affettuoso cordoglio. L’ultimo saluto al presidente sarà venerdì 3 giugno alle 11 nella Casa della Memoria di Milano (Via Confalonieri 14). La camera ardente si aprirà, nello stesso luogo, alle  10

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