L’ex commissario Domenico Arcuri è stato interrogato sabato scorso in gran segreto dai pm della procura di Roma. Indagato per peculato e abuso d’ufficio in merito all’inchiesta sulla maxi-fornitura da 1,25 miliardi di euro per l’acquisto di milioni di mascherine cinesi da parte della struttura commissariale per l’emergenza Covid, Domani ha scoperto che Arcuri ha prima spiegato perché ha trattato con l’ex giornalista della Rai Mario Benotti.

E poi, per la prima volta da quando è finito al centro delle polemiche sulla gestione della pandemia, ha deciso di contrattaccare. Tirando anche in ballo nomi di politici, imprenditori, deputati e senatori che lo avrebbero contattato direttamente o indirettamente per promuovere alcune partite di mascherine vendute da società provate a condizioni «largamente meno vantaggiose» di quella di Benotti. «Sotto l’aspetto del costo, dell’acconto, del trasporto e del tempo di fornitura».

Senatori e mascherine

Partiamo dall’inizio. Quando Arcuri, davanti ai pm Gennaro Varone e Fabrizio Tucci che gli chiedono come mai ha riconosciuto a Benotti la qualità di «promotore di una società cinese» preferendolo ad altro soggetti, decide di spiegarsi facendo alcuni esempi. «L’onorevole Giorgia Meloni il 22 e il 27 marzo è in copia (in una email, ndr) all’offerta di tale Pietrella per mascherine chirurgiche con richiesta di anticipo del 50 per cento e costo del trasporto a carico del governo italiano». Insomma, dice Arcuri a verbale, la leader di Fratelli d’Italia – che risulta aver contattato Arcuri al telefono - avrebbe raccomandato un’offerta di terzi. Altri politici si sarebbero proposti ad Arcuri invece in maniera più diretta.

«Il senatore Massimo Mallegni (vicepresidente del gruppo Forza Italia, ndr) il 24 marzo mandò un’offerta per mascherine KFN4 con consegna in Corea al prezzo di 0,80 euro cadauno, grandemente meno favorevole di quella del Benotti. Il primo aprile si autogiustifica pubblicamente di non essere un intermediario, per poi, non essendo stato sottoscritto il contratto, diventare ospite fisso di trasmissione televisive». Nelle quali Mallegni attacca a testa bassa lo stesso Arcuri: il forzista ha detto più volte che l’allora commissario avrebbe dovuto dimettersi.

«Il senatore Lucio Malan (che di recente è passato da Forza Italia a Fratelli d’Italia, ndr) tramite Enzo Saladino offre mascherine lavabili» continua l’interrogatorio «Il Comitato tecnico scientifico dice che non sono neppure valutabili...non ottenuti i contratti, Malan inizia una schiera numerosa in interrogazioni parlamentari».

Il presidente di Invitalia cita anche Irene Pivetti, e poi il deputato Mattia Mor di Italia Viva: «Ha presentato l’offerta di due signori cinesi per mascherine chirurgiche al prezzo unitario di 55 centesimi, con consegna in Cina escluso il prezzo del trasporto». Il caso che Arcuri definisce «il più drammatico» è quello dell’imprenditore Filippo Moroni, ospite fisso di trasmissioni televisive dove criticava con durezza il comportamento dell’allora braccio destro di Giuseppe Conte: «Moroni in tre giorni manda sette diverse offerte, inviate tramite società lussemburghese, con consegna ad Hong Kong e pagamento anticipato del 100 per cento del prezzo».

Le accuse all’ex commissario

Gli esempi snocciolati (e Arcuri lascia intendere che potrebbe fare un elenco assai più lungo) servono al dirigente per evidenziare ai pm come, a suo parere, la decisione di affidarsi alla commessa proposta da Benotti fosse più che giustificata. L’operazione, però, secondo la procura avrebbe arricchito un gruppo di imprenditori con provvigioni milionarie a danno delle casse dello Stato.

È noto che Benotti, insieme all’ingegnere milanese Andrea Tommasi e al suo socio (il banchiere di San Marino Daniele Guidi) e al trader ecuadoregno Jeorge Solinas siano tutti indagati per traffico di influenze e frode in pubbliche forniture. Ora anche Arcuri è finito nel registro degli indagati perché, in concorso con il suo ex braccio destro Antonio Fabbrocini, «si appropriava disponendone uti dominus a vantaggio di Mario Benotti, di euro 11,9 milioni traendoli dal fondo costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri», scrivono i pm. Di fatto secondo l’accusa la coppia sapeva bene («comprendevano», si legge testuale) che Benotti avrebbe avuto dai produttori cinesi una mediazione per se, e dunque Arcuri liquidava ai cinesi anche «il compenso privato» che poi sarebbe arrivato a Benotti. Tutto a danno delle casse dello stato: ecco l’ipotesi di peculato.

A cui si aggiunge anche quella di abuso d’ufficio. Una scelta a sorpresa, visto che il reato più grave dovrebbe escludere l’altro, o viceversa. Glio inquirenti, invece, credono che il rapporto di mediazione di Benotti e Tommasi doveva essere comunque contrattualizzato dalla struttura commissariale, in quanto ente pubblico soggetto a legge specifica. Sul punto il dirigente risponde così ai magistrati: «Tommasi non so nemmeno chi sia. Lui e Benotti per me erano promotori o procacciatori d’affari, che operavano nell’interesse delle aziende cinesi. Avevo fatto divieto di sottoscrivere contratti con soggetti diversi dalle aziende esportatrici. Ritengo fantascienza che un simile contratto possa essere stipulato da una pubblica amministrazione. Quello con la società cinese stipulato dal Tommasi, rilevo dagli atti, era un contratto di agenzia. Sul fatto che siano passate provvigioni dell’importo noto, mi lascia basito forse più di voi».

Benotti e il Vaticano

Arcuri parla anche delle origini della sua conoscenza con Benotti, un rapporto personale che avrebbe permesso alla presunta cricca di fare l’affare della vita. «Lo conosco dal 2014, perché era all’interno dello staff dell’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, il cui capo di gabinetto era il dottor Mauro Bonaretti (poi a Invitalia, ndr). Aggiungo che mi fu presentato come il “professor” Benotti, come una persona particolarmente vicina alla segreteria di stato vaticana».

Arcuri continua spiegando che i rapporti si intensificano a fine 2019 quando Benotti chiede aiuto a Invitalia per la stesura di un libro sulla politica industriale e fa proposte per risolvere il dossier Alitalia. «Si mostra titolato a rappresentare la voce del ministero delle Infrastrutture. Insomma, un po’ ministero un po’ Vaticano, uno dei tanti che popolano gli interstizi del potere economico-politico italiano».

La compravendita miliardaria con i cinesi parte a marzo 2020 Benotti dice ad Arcuri di poter dare una mano al governo. «Non sono stato io a chiedere aiuto a Benotti, al contrario è stato lui a proporsi. Io gli comunico di inviare una mail alla struttura: dello sviluppo di questa trattativa io non ne so nulla».

I magistrati chiedono anche se è vero, come ha detto più volte Benotti, che durante un incontro avvenuto in strada il il 6 maggio 2020 Arcuri lo avesse avvertito di un interesse dei servizi segreti italiani sui voli di trasporto delle mascherine, e che quindi era il caso che non si sentissero più. «Benotti chiese due volte di parlarmi prima di quell’incontro. La prima volta mi disse che ci sarebbe stata un’inchiesta giornalistica che aveva quale obiettivo la mia conduzione della pandemia, inchiesta che la gendarmeria vaticana aveva fermato (articolo che sarebbe dovuto essere firmato da chi vi scrive, circostanza del tutto falsa, ndr). La seconda volta mi chiese se volevo recarmi in segreteria di stato vaticana. Iniziò a essere dilagante e inopportuno, stava esagerando e ho scelto di allontanarlo. Comunque nell’incontro con lui non ho mai nominato la parola “servizi” o “indagine”».

Il sequestro

Non è tutto. Un nuovo dispositivo di sequestro ha evidenziato che procura crede che parte significativa dei dispositivi dei consorzi cinesi da cui si è approvvigionato Arcuri con l’intermediazione di Benotti non sia a norma. O sia addirittura pericolosa per la salute pubblica.Qualche giorno fa i magistrati hanno ordinato infatti il blocco di 161 milioni di mascherine «non conformi» ancora in giacenza nei magazzini in giro per l’Italia che fanno parte della partita acquistata dalla vecchia struttura commissariale. Secondo una consulenza tecnica, in merito ai prodotti di due ditte come la Haining Nuozi e la Wenzhou Leikang, «le semimaschere filtranti non possono essere classificabili come FFP2 o FFP3: la conseguenza è che se tali oggetti vengono utilizzati come dispositivi di protezione individuale sono pericoloso per la salute pubblica». Il motivo? «Indurrebbero nell’utilizzatore la falsa sicurezza che renderebbe ancora più rischiosa l’esposizione all’agente pericoloso».

Arcuri non è coinvolto nella truffa, ma nell’interrogatorio ci ha tenuto a sottolineare una circostanza a suo parere «non irrilevante: il prodotto è sdoganato dalle Dogane, che sono competenti al controllo, ed è progressivamente validato dal Comitato tecnico scientifico». Come a dire: se le mascherine di Benotti non funzionano o risultano irregolari, la responsabilità non è né mia né della struttura, ma di altri.

 

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