«Se il salario minimo riguarda i lavoratori non tutelati, non coperti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, è assolutamente sacrosanto perché fortunatamente i contratti nazionali prevedono una soglia anche superiore ai 9 euro». Suona come un intervento delle opposizioni in commissione lavoro, in difesa della proposta di legge sul minimo salariale. E invece è una dichiarazione di Matteo Salvini, datata 12 luglio 2022, un anno esatto fa. Alla vigilia della caduta del governo Draghi. 

Basta spulciare negli archivi per capire che il no che oggi la destra di governo dice alla proposta delle minoranze (tutte tranne Italia viva) suona strano, suona male. Insieme a quella fretta di archiviare la pratica. Una fretta sospetta, che lascia capire l’imbarazzo per dover affossare un provvedimento che invece piace anche a una parte corposa del proprio elettorato. E che infatti fino a qualche mese fa veniva sostenuto.

Rizzetto voleva il salario minimo

E non solo dalla Lega. Spulciando negli archivi della camera le opposizioni hanno tirato fuori una precedente proposta di legge. Si intitola «Istituzione del salario minimo orario nazionale», è stata presentata alla camera il 28 gennaio 2019 e nella spiega sostiene argomentazioni di buonsenso: 

«L’istituzione di un salario minimo, su base oraria, rappresenterebbe un efficace strumento per garantire una maggiore equità e tutelare la posizione di debolezza del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro, conferendogli maggiore potere contrattuale».

Più avanti: «La retribuzione minima fissata per legge è attualmente applicata in molti paesi europei, mentre, in Italia, essa vige solo per alcune categorie di lavoratori in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale. Ciò lascia scoperto almeno il 30-40 per cento del mercato del lavoro italiano, dalle imprese di modeste dimensioni ai lavoratori atipici, determinando estesi fenomeni di sfruttamento che sarebbero arginati con l’istituzione per legge del salario minimo orario nazionale». Argomenti che, se erano validi prima della pandemia, figuriamoci adesso. Chi è il firmatario? Ma il deputato Walter Rizzetto, di Fratelli d’Italia.

Si tratta proprio del presidente della commissione lavoro che in queste ore sta facendo di tutto pur di affossare una analoga proposta delle opposizioni. A rileggere l’illustrazione del suo testo, sembra uno del Pd, se non dei Cinque stelle: «Dove la contrattazione collettiva è più debole, un salario minimo è indispensabile, mentre, laddove la contrattazione è ancora forte, un salario minimo può essere un valido complemento. In Belgio, Francia, Olanda e Spagna, ad esempio, coesistono la copertura dei contratti collettivi e il salario minimo nazionale».

E ancora: «Una volta istituita la retribuzione minima oraria, qualunque lavoratore avrà il diritto di ricevere almeno quel determinato corrispettivo, da applicare a qualsiasi attività svolta nell’agricoltura, nell’industria o nei servizi, senza distinzione di sesso o di età e indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoratori stabili, occasionali o temporanei». Perfetto. Solo che ora ha cambiato idea, e sta facendo di tutto per dire no a quello che quattro anni fa aveva sostenuto.

In commissione

Intanto nel pomeriggio va avanti nella commissione lavoro di Montecitorio, presieduta appunto da Rizzetto, l’ostruzionismo della maggioranza per evitare che venga votato l’emendamento soppressivo che chiude il dibattito in commissione. 

Dopo la sessione di ieri notte, durante la quale è intervenuta la segreteria del Pd Elly Schlein e l’ex ministro del lavoro Andrea Orlando, oggi i lavori sono ripresi all’ora di pranzo, dopo l’aula. In programma anche gli interventi di deputati momentaneamente “prestati” alla commissione: dal presidente M5s Giuseppe Conte al rossoverde Nicola Fratoianni, Matteo Richetti di Azione.

Italia viva non partecipa al tentativo di rallentare l’emendamento soppressivo della legge, che  Rizzetto vorrebbe far votare già entro stasera: si tratta comunque di una dimostrazione di forza, perché comunque il 28 luglio la proposta di legge approderà in aula, e lì i giochi potrebbero essere riaperti. Ma senza speranza: i numeri della maggioranza non lasciano spazio a cambi di scenari. Almeno sulla carta.

Maggioranza e opposizione se le suonano di santa ragione. Per Antonio Tajani serve un «salario ricco» e il provvedimento in esame è «roba da Unione sovietica».

 «Povero Tajani, con tutti questi comunisti che ci sono in giro c’è davvero da preoccuparsi», ironizza Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione. Poi più seriamente: «Svimez certifica che nel Sud il 25 per cento dei lavoratori salariati sono sotto i 9 euro», «Meno male che in Italia si possono fare plusvalenze da un milione di euro in 58 minuti vendendo semplicemente una casa. Quello sì che è un salario ricco, altro che salario minimo».

Anche Conte replica a Tajani: "Ha parlato come fosse al bar con qualche avventore, frasi dette a vanvera. Ma come si possono definire ventuno paesi Ue colonie sovietiche?».

 II leghista Alberto Bagnai sostiene che il salario minimo «è una battaglia ideologica della sinistra che rischia di diventare uno standard al ribasso per i lavoratori, noi proponiamo soluzioni pragmatiche come la pace fiscale per chi è stato messo in seria difficoltà da guerra e pandemia». Replica di Fratoianni: «Non livella gli stipendi al ribasso ma dà dignità ai lavoratori con stipendi indecenti, che esulano dalle contrattazioni collettive».

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