Neanche l’otto per cento. Il giorno dopo la chiusura delle urne in Basilicata, il bilancio per Giuseppe Conte è più che amaro: il Movimento 5 stelle registra un tonfo pesantissimo in una delle regioni del sud che sono sempre state un granaio di voti per i grillini.

Guardare al passato, anche recente, oggi diventa doloroso: soltanto cinque anni fa, nel 2019, il candidato grillino alla presidenza della Basilicata, Antonio Mattia, all’epoca in solitaria, portava a casa il 20,3 per cento. Nel 2022 il Movimento, forte del fatto che alle elezioni politiche i Cinque stelle vanno solitamente meglio rispetto ad amministrative, regionali ed europee, aveva addirittura ottenuto il 25 per cento delle preferenze del voto proporzionale.

E ora, nell’ultimo residuo di coalizione che Movimento e Pd potevano vantare prima della rottura definitiva sulle vicende di Bari, una performance devastante. Rompendo con il Pd, Conte ha spinto per tornare alle origini. In cima alla lista delle priorità, l’onestà. Quasi si fosse ancora ai tempi dei palchi di Beppe Grillo, nel pieno dell’epoca anti casta. «Il problema – dice un ex parlamentare di lungo corso – è che c’è sempre qualcuno più onesto di te: i grillini radicali oggi in molti casi sono tornati nell’astensionismo. Tanti seguono Alessandro Di Battista, altri voti si sono dispersi per tutto l’arco parlamentare».

L’elettore storico del Movimento, insomma, difficilmente è quello di Conte. Anzi, è il ragionamento, sui territori non è rimasto nessuno della “prima ondata”. Quindi chi oggi sceglie Conte lo segue per la sua capacità personale di attrarre voti. E poi c’è il divario tra le rilevazioni su un campione nazionale e le performance sul territorio del M5s: a fronte di un 16-17 per cento attorno a cui il M5s si muove nei sondaggi, a poche incollature dal Pd, nelle ultime regionali in Sardegna, dove Conte proponeva pure la candidata, ha sfiorato l’8 per cento, mentre non è andato oltre il 7 in Abruzzo.

I problemi nel partito

La disaffezione si vede nel voto lucano, ma anche in quello sulle autocandidature in vista delle europee: pochi nomi in corsa e bassa affluenza della base. Lunedì ha votato appena il 14 per cento degli aventi diritto. E nel partito prevedono un’affluenza ridotta anche per venerdì prossimo, quando si voterà il listino bloccato di Conte. Dentro, oltre agli uscenti Maria Angela Danzì, Mario Furore e Sabrina Pignedoli, i candidati della società civile Ugo Biggeri, Martina Pluda, Carolina Morace, Pasquale Tridico, Maurizio Sibilio, Giuseppe Antoci e Cinzia Pilo.

Ovviamente la bocciatura non è prevista. Ma i voti non sono mai plebisciti, e rimane un rumoroso zoccolo duro di grillini delle origini che vuole far sentire la propria voce e denunciare pubblicamente come l’ex premier sia definitivamente uscito dall’orbita dei principi del Movimento.

Quasi che la svolta “onesta” sia solo di superficie e l’atteggiamento di Conte rimanga comunque quello di sempre, con i nomi blindati mentre prima anche chi aveva già una legislatura alle spalle doveva affrontare nuove parlamentarie, con il rischio di rimanere fuori dalle liste.

Tra i militanti storici ha fatto storcere il naso anche la scelta di ridisegnare il simbolo per inserire l’hashtag “pace”. I più giovani lo catalogano come «boomer», qualcun altro stigmatizza il fatto di inserire la pace quasi in un contesto pubblicitario, come fosse una campagna per un prodotto da vendere. «E poi adesso sui social in mezzo ai litigi sulle guerre in corso, cercando #pace adesso si troveranno i post del Movimento. Una bella furbata», osservano.

E poi le candidature. Da un lato Conte condanna la scelta dei leader di correre in prima persona pur con la consapevolezza di dimettersi il giorno dopo le elezioni. Dall’altro lui stesso alle ultime politiche aveva optato per una pluricandidatura in diversi collegi. Per quanto riguarda gli altri nomi, invece, c’è chi nota che sono venuti meno i rigidi controlli delle origini del Movimento.

Un caso esemplare è quello di Patrizio Cinque, già sindaco di Bagheria per il M5s. Scaricato da Luigi Di Maio per essere finito al centro di due processi, è rimasto a collaborare con un parlamentare e adesso è arrivato addirittura primo per preferenze nella sua circoscrizione. Una situazione che in altri tempi avrebbe provocato una piccola crisi è quella di Valentina Palmisano: ex parlamentare, oggi è presidente del consiglio comunale, e ora correrà forse addirittura in seconda posizione nella lista della circoscrizione Sud.

Ma il tabù del mantenere un incarico pur essendo in corsa per un altro è già stato rotto da Alessandra Todde, che era parlamentare quando è stata eletta presidente della Sardegna. Anche perché, è l’impressione, le ambizioni di Conte si concentrano al Sud. Ma provando a fare la proporzione tra i voti raccolti alle ultime elezioni europee e il consenso che si registra oggi, il Movimento rischia di scendere parecchio sotto la quota sei europarlamentari che aveva portato a Bruxelles dal meridione nel 2019. Potrebbero essere addirittura solo tre o quattro, e c’è già chi punta tutto sul tridente che Conte con grande probabilità schiererà al Sud: il capolista Tridico, Palmisano e Furore.

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