«Carlo Calenda ha detto che la giunta di Roberto è la giunta Bettini». Risate. Roberto, nel senso di Gualtieri, il sindaco di Roma, alza lo sguardo con aria preoccupata. «Ma non è vero niente, vi do la mia parola d’onore, l’80 per cento delle persone nominate io non le conosco. Non le ho mai incontrate. Anzi, facciamo così: Claudio, Claudiooo!». Claudio, nel senso di Mancini, si affaccia dalla finestra, faccia diffidente.

Altre risate: «Abbiamo fatto questo scambio di campanella. Ora tocca a te, Claudio, e speriamo che la smettano di mettermi in mezzo». Risate, applausi. Goffredo Bettini è arrivato all’ultima candelina prima dei settanta e quest’anno festeggia punzecchiando gli amici. Sono una folla, questi suoi «amici di sempre», inviti per venerdì a pranzo rigorosamente spiccati solo «alle persone alle quali sono legato affettivamente».  La coincidenza è che fra i suoi amici ci sono parecchi potenti, non si capisce se causa o effetto o entrambi.

Il potere prende il Gra

Quest’anno la convocazione è pasoliniana, ma così pasoliniana da sembrare una provocazione. Non certo casa sua, e non si potrebbe in quel frugalissimo una stanza e cucina, Ma neanche nelle case belle degli amici importanti, che negli anni non sono mancate. Stavolta sono invitati lontano dal centro e dalle stanze del potere. E il potere deve prendere il raccordo anulare, meglio se con l’autista.

Siamo a La Storta, profonda periferia nord di Roma, si entra in mezzo alle piante e ci si infila sotto una tettoia davanti alla villetta del compagno Libero Bozzi, il suo storico autista che alla pensione è riuscito a sistemarsi una casa grande, dignitosa ma modesta, «un abusino di necessità», lo prende in giro il festeggiato. L’ancora devoto Libero e sua moglie Anna, con figlie nipoti e generi, hanno pazientemente cucinato lasagne, polpette al sugo, pasta e ceci, verdure ripassate, fagioli e cicoria, distribuito salumi e bufala.

Brindisi con un paio di magnum di champagne ma in bicchieri di plastica, Come i piatti e le posate. Gli «amici di una vita», quelli del Pci romano degli anni 80, arrivano a memoria: Enrico Gasbarra, Maurizio Venafro, Michele Meta, Lionello Cosentino, Michele Civita, Roberto Morassut, Ivana Della Portella. Gli altri ce la fanno solo google map alla mano:  il ministro Dario Franceschini con la consigliera regionale Michela Di Biase, sua moglie, e con Salvatore Nastasi, il segretario generale del Mibac, l’affezionatissimo e cortesissimo Gianni Letta, il ministro Andrea Orlando che discute fitto fitto con il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il quale a sua volta spiega a lui e a Franceschini che se il bilancio della sua città non viene sdoganato da Palazzo Chigi il suo lavoro neanche può partire. «Alcuni qui fra noi lavorano»,  li prende in giro Bettini. Non sono gli unici.

 Il vicesegretario Pd Peppe Provenzano è arrivato in vespetta, da qui al Nazareno è un viaggio oltreché naturalmente una metafora. C’è l’ex ministro Angelo Piazza freschissimo di nomina al vertice dell’Ama, l’attrice Michela Cescon e Stefano Barigelli, Monica Cirinnà, madre delle unioni civili e vedova della defunta legge Zan, con il marito Esterino Montino, sindaco di Fiumicino.  E c’è il vicepresidente della regione Lazio Daniele Leodori con il senatore Bruno Astorre: il primo è in odore di corsa da presidente post Zingaretti (c’è anche il presidente, naturalmente), il secondo è il segretario regionale Pd ma soprattutto è il capo degli ex dc laziali di prima seconda e futura generazione.

Poi c’è il nuovo Campidoglio deraggizzato: oltre al sindaco, c’è Albino Ruberti, il suo capo di gabinetto e il neoassessore Maurizio Veloccia. Il collega Luca Onorato, capello e look anni 80 ma dall’altra parte della barricata, copre a destra la festicciola. Invece l’ala sinistra fa il suo ingresso in formazione compatta: l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio con  Amedeo Ciaccheri, il giovane ma già plebiscitato presidente dell’ottavo municipio, e il neoassessore Andrea Catarci. Nel presepe bettiniano ci sono anche i giovanissimi pastorelli, come il ventenne ex aspirante sindaco Federico Lobuono e la “sardina” Jasmine Cristallo.

Conte e una gaffe

Ma la new entry nelle amicizie dell’ospite è senza dubbio Giuseppe Conte. Arriva molto in ritardo, come andasse a una delle sue vecchie conferenze stampa da premier. «Ciao Luigi», lo apostrofa Bettini e non si capisce se è una battuta cattivella o un maledetto lapsus, «mi accusano di averti fatto capo della sinistra, ma eri il nostro presidente del consiglio! Adesso se vuoi un accordo unitario deve essere almeno alla pari». Risate. Per ultimo arriva anche Carlo Fuortes, l’amministratore delegato della Rai a cui danno la caccia i segretari di partito. Fino a che non varca il cancelletto la sua presenza è data come molto improbabile: coltiva la fama di incompatibile con le liturgie del potere romano (alla direzione del teatro dell’Opera fu nominato dal sindaco Ignazio Marino).

Seduto su una seggiola di legno, Bettini passa dai frizzi e lazzi al serio, «Mi ricordo Gerardo Chiaromonte, il  grandissimo riformista napoletano, quando ci fu la crisi del governo di unità nazionale, lui mi disse “Goffredo, abbiamo chiuso la baracca”. E lo diceva con amarezza. La Dc aveva fatto una campagna elettorale dandoci dei brigatisti, scusa eh Gianni (Letta, ndr) e scusa anche a te Ranucci (Raffaele, imprenditore grande elettore del Pd di Roma, anche lui ex dc). 

Il Pci non volle più votare la fiducia al governo dc. La verità, mi disse Chiaromonte, “è che dopo la morte di Moro Berlinguer non si fida più di nessuno. Non c’è più fiducia”. Ecco», dice Bettini con un bicchiere di plastica in mano, «la fiducia è fatta di progetti ma anche di volontà soggettiva, e in questi anni passati» gli anni giallorossi sottintende, «ho vissuto una vera esperienza di solidarietà con molti, con Andrea (Orlando, ndr), con Dario (Franceschini, ndr) e con il mio amico Nicola», Zingaretti, ex segretario Pd e presidente della Regione, che se ne sta molto in disparte, «e anche con Giuseppe in questi anni abbiamo costruito solidarietà e fiducia.

Ora non c’è il clima, non c’è la complicità di prima», certo parla dell’alleanza Pd-M5S che ha tenuto a battesimo nell’ormai lontanissimo autunno 2019. Ma ce l’ha con il governo? O forse ce l’ha con il suo Pd? «Ora è il momento di far funzionare il cervello e di rimettere insieme questa amicizia, che è un patrimonio».
Non parla di politica, giura, né di Colle, né di alleanze.

Parla di amicizia, assicura, quanto alla politica «io ora vedo tutto da lontano». Ma non ci crede nessuno. Un po’ spiace e un po’ se ne compiace. Calenda lo ha inserito nel trio del male del Pd romano, con Astorre e Mancini. E più lui si schermisce, più viene sospettato di manovre politiche. Se c’è un’antropologia della politica, Bettini appartiene al tipo che dice ci essere sopravvalutato ma sarebbe un errore sottovalutare.  Alla fine niente torta, Libero porta una sola candelina rossa per la crostata della signora Anna. Roba buona. Anche per stringere patti politici, casomai. 

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