Il discorso della premier Giorgia Meloni a Pescara ha infiammato la platea, dato il via alla campagna elettorale per le europee e lanciato lo slogan: «Scrivi Giorgia». La scelta è azzeccata dal punto di vista comunicativo e rientra nel solco tipico della retorica di Meloni, la quale ha ribadito di essere «una persona del popolo» e promesso che «il palazzo non mi isolerà». Parole che suonano come un auspicio, visti i timori di accerchiamento trapelati dal suo entourage e mai smentiti.

Le bugie

Quando Meloni si è definita una «underdog» ha scelto la parola più precisa per definire la sua narrazione politica. Anche a Pescara, dall’alto dei sondaggi che la collocano oltre il 26 per cento di preferenze, la premier ha scelto di raccontare il suo governo assediato da forze nemiche quasi soverchianti in una sfida di Davide contro Golia.

«Il potere non va guardato con bramosia, ma diffidenza», ha detto, spiegando che «gli incarichi non sono mai il nostro fine». Considerando le ultime nomine nelle grandi partecipate statali e ai vertici della televisione pubblica, Meloni ha imposto la sua egemonia anche contro gli alleati di governo e sulla testa dei suoi ministri, scegliendo gli ad delle quattro aziende di prima fascia, Eni, Enel, Poste e Leonardo.

E poi ancora, all’indomani della censura del discorso di Antonio Scurati dalla Rai, Meloni si è lamentata del fatto che «a noi cercano sempre di tappare la bocca, di impedirci di raccontare le nostre idee e i nostri programmi». Eppure, dati dell’Osservatorio di Pavia alla mano, lo spazio mediatico maggiore nei telegiornali Rai è quello della premier, che nel mese di dicembre è comparsa per 29 minuti, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Infine Meloni ha rivendicato di aver preso «decisioni giuste anche quando non sono popolari, come quella di sostenere il popolo ucraino». Peccato che il sostegno all’Ucraina dopo l’aggressione russa sia stato la scelta di tutti i paesi europei – fatta salva l’Ungheria – e delle forze occidentali.

Cosa c’è e cosa no

Nel suo discorso la premier ha usato tutti i suoi principali cavalli di battaglia, celebrando i risultati ottenuti in politica estera, il piano Mattei, l’aumento degli occupati nel mercato del lavoro e le buone notizie nel campo dell’economia, con la discesa dello spread e «il debito che sta tornando nelle mani degli italiani grazie al grande successo dei Btp Valore».

Quello che è mancato, però, sono stati i numeri. Del resto le cifre erano assenti anche nell’ultimo Documento di economia e finanza dove comparivano solo le stime tendenziali dei conti pubblici, nel caso in cui non ci siano provvedimenti correttivi, ed era completamente assente il quadro programmatico. Cioè gli obiettivi di finanza pubblica e le misure previste per tradurli in pratica.

Altro grande assente il tema degli stipendi. Il tasso di occupazione è in rialzo, e sfiora il 62 per cento, ma l’Italia rimane in fondo alle classifiche europee. Mentre i salari continuano a essere fermi: l’Ufficio di statistica ha indicato un aumento medio del 3,1 per cento annuo, solo per le retribuzioni con contratto nazionale di lavoro. Una cifra che è ben al di sotto dell’inflazione, che nel 2023 si è attestata al 5,7 per cento. Il 2024 sarà un anno cruciale per il rinnovo di 29 contratti collettivi, e da questo si potrà valutare un eventuale miglioramento per i lavoratori.

Un passaggio significativo ha poi riguardato le politiche migratorie. Meloni ha magnificato il patto dell’Ue con la Tunisia, che ha portato alla riduzione del 60 per cento degli sbarchi, secondo i dati del Viminale, e quelli che dovrebbero stringersi con Libia ed Egitto. Anche in questo caso, però, la premier ha evitato di ricordare come il patto con la Tunisia sia appeso a un filo molto sottile.

A marzo la Commissione Ue ha autorizzato l’erogazione di 150 milioni di euro garantiti dall’accordo, ma i soldi non bastano. Mancano circa 900 milioni di euro, vincolati al raggiungimento di un accordo per un nuovo prestito, ancora molto lontano, perché Kaïs Saïed è restio ad accettare le riforme richieste dal Fondo monetario internazionale. In altre parole, senza i soldi Ue (da spendere a propria discrezione) la Tunisia potrebbe smettere di bloccare le partenze.

Meloni ha espresso «solidarietà» al presidente albanese Edi Rama, attaccando Report per il servizio sui cpr che l’Italia intende costruire in Albania e che secondo la premier sono una risposta importante sul fronte dell’immigrazione. Anche in questo caso ha evitato di ricordare i costi dell’accordo: oltre 65 milioni di euro, secondo il Genio militare, per due strutture che saranno pronte, secondo cronoprogramma, tra otto mesi. Ma alcune criticità dei luoghi, segnalate dagli stessi militari, potrebbero frenare la corsa. A questo investimento, poi, andranno sommati i costi di gestione (serviranno 45 unità di polizia penitenziaria con una maggiorazione di stipendio di 4.000 euro) per i 880 posti creati.

Infine, la premier ha enfatizzato anche i risultati sul Pnrr: «Siamo la nazione con più rate erogate e progetti presentati». In realtà il confronto sulle rate è impossibile, perché ogni paese ha rateizzato diversamente i fondi. Inesistente, nell’universo di Meloni, anche l’allarme più volte lanciato dalla Corte dei conti sulle irregolarità già riscontrate e sullo scostamento tra la «spesa attesa e la spesa sostenuta». L’Italia, fino a ora, ha ottenuto 101 miliardi, e fino a ora, secondo il Mef, «le spese sostenute risultano pari a circa 45,6 miliardi di euro». Meno della metà dei fondi incassati, quindi.

Le promesse

Meloni ha però messo in chiaro la sua linea rispetto alle prospettive future dell’Unione europea, ricordando le sue radici di destra nel Movimento sociale italiano: no al Green Deal e alle «follie ideologiche» in materia di ecologia; «Europa confederale» con stati-nazione forti; una «politica industriale comune nel settore della difesa» per «costruire il pilastro europeo della Nato». Così chiederà agli elettori di «votare Giorgia», in un referendum su sé stessa che punta a consolidare ancora la sua egemonia nel centrodestra e sulla politica italiana.

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