Secondo Matteo Richetti, ex piddino ex renziano ora numero due di Carlo Calenda, l’uomo che sabato scorso ha fatto la spola fra Roma e Capalbio senza riuscire a capire che cosa avrebbe deciso alla fine il suo leader, Azione è pronta «a mobilitarsi in tutta Italia» per presentare la propria lista. Con l’ex amico fiorentino non vuole andare: «Non ne posso più di chi valuta la politica e le persone sulla base della prossimità, del fatto che sono tuoi alleati o meno».

Nel momento del massimo scontro, nella manciata di ore in cui Azione è stata in alleanza con il Pd, Italia viva ha attaccato ad alzo zero. «Il deputato di Iv Luciano Nobili è arrivato a dire: avete bisogno del bonus psicologico, una cosa brutta perché è una grande misura per le persone in sofferenza». Anche Calenda ha annunciato lunedì, sul Corriere della sera, che «iniziamo oggi la raccolta delle firme».

I cavilli giuridici

Ma non è così. Azione ha chiesto ai legali un parere per verificare se il simbolo europeo, dentro il simbolo Pd, può esentare il partito. Molti giuristi non amici lo escludono. Il rischio che venga scartato dall’ufficio elettorale è forte. Ecco perché comunque Calenda e Richetti annunciano la raccolta delle firme.

Firme che però sono in quantità proibitiva, data la ristrettezza dei tempi e la stagione torrida: 750 per collegio cioè 36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato, più qualche centinaio di autografi ulteriori per compensare eventuali errori. Ma la raccolta non è partita lunedì come invece dice Calenda. Le sottoscrizioni vanno prese in calce alle liste complete di tutti i collegi. Infatti lunedì il quartiere generale calendiano stava sulle soglie di una crisi nervosa: tutti gli elenchi sono da rifare, quelli su cui hanno lavorato fino a domenica erano con Più Europa e, all’uninominale, con il Pd. La sicurezza ostentata in queste ore fa venire il sospetto, in qualche alleato, che la rottura con il Pd fosse premeditata.

A sentire qualche “azionista” di seconda fascia però l’impressione è opposta: la rottura di Calenda è caduta sulle spalle dei suoi uomini-macchina come una slavina inaspettata. La deadline della raccolta delle firme cade tra il 20 e il 21 agosto, presso le cancellerie delle Corti di appello. Ma fra il 12 e il 14 agosto il simbolo va comunque presentato al Viminale; e lì devono essere dichiarate le alleanze. Di fatto Azione ha solo quattro giorni per una decisione capitale: tentare la roulette russa dei banchetti, sperando nel frattempo nel miracolo dell’esenzione; o acconciarsi a chiedere ospitalità sotto le insegne di Renzi.

Il retroscena

Cappello in mano. Calenda e il leader di Iv prenderanno una decisione venerdì. Lunedì Più Europa si è riunita per ufficializzare la corsa in alleanza con il Pd. Enrico Letta ha chiesto ai suoi di non rispondere sui social a Calenda e a non alimentare «la sua bulimia narcisistica: parla di sé stesso con sé stesso, sproloqui allo specchio. Nuova variante, dopo Renzi, di populismo d’élite», è l’avviso che circola al Nazareno. Meno british la reazione dell’ex alleato federato.

Riccardo Magi rivela su Istagram un retroscena della rottura: Letta aveva accettato «tutte le condizioni» di Azione e Più Europa, «tra cui il fatto che Fratoianni, Bonelli e Di Maio – che tutti sapevano sarebbero stati nella coalizione – non fossero candidati nei collegi uninominali». Calenda ha deciso da solo, «chiediamo un incontro e ci dice che è inutile». Da Azione arriva qualche replica. Ma la preoccupazione ora è un’altra. Basta un errore e Calenda rischia di restare a piedi. O di trovare solo posti in piedi: nelle liste di Renzi si accomodano già i sindaci di Federico Pizzarotti.

Il Pd rifà i conti

Anche al Nazareno le liste sono di nuovo tutte per aria, dopo lo strappo di domenica. Gli uomini di partito devono rifare i conti. Sui collegi uninominali: i seggi contendibili prima del divorzio erano circa 45-50, quelli in cui danno una mano i rossoverdi 15, «alla fine quelli che sono peggiorati a nostro sfavore sono una decina», viene spiegato. Benedetto Della Vedova annuncia un nuovo incontro con Letta «per capire a partire da quel patto, nei suoi termini politici ed elettorali cosa dobbiamo fare». Possibile che salti la regola secondo cui i leader non saranno candidati nei collegi.

Estreme a rischio

Una lotta contro il tempo è anche quella di Italexit e dell’Unione popolare. L’aggregazione di Gianluigi Paragone ha già rotto con gli ex grillini di Alternativa, per via di alcuni esponenti di Casapound in lista. Dal lato della sinistra, Potere al popolo e Dema ci provano. Stamattina a Roma a piazza Montecitorio Luigi de Magistris lancerà la raccolta delle firme. Che in realtà è già iniziata: «C’è tanto entusiasmo tra militanti e le tante persone che vogliono firmare», giura l’ex sindaco di Napoli. Tante però non è detto che siano abbastanza.

Infine c’è la battaglia di Marco Cappato, dell’associazione Coscioni, per raccogliere le firme online: «Non abbiamo risposta dal governo, né ci pare alcuno abbia speso mezza parola sul tema della firma digitale». L’ex senatore radicale Marco Perduca lunedì ha incontrato gli esperti Osce a cui ha riferito le condizioni secondo loro illegali delle elezioni. Cappato, da verace tradizione radicale, comunica di non aver iniziato la raccolta: «Stiamo intanto raccogliendo i candidati, contiamo di chiudere le liste entro il fine settimana». Poi partirà la raccolta firme digitali con la stessa piattaforma usata per i referendum sull’eutanasia e la cannabis legale.

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