L’addio di Carlo Calenda alla coalizione di centrosinistra ha avuto anche degli effetti collaterali positivi, per alcuni alleati. In particolare per Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri la settimana scorsa si era ritrovato di fronte a un bivio impossibile. Dopo il veto di Calenda sulla sua candidatura in un collegio uninominale, come inizialmente concordato con il Pd, i dem gli avevano offerto il diritto di tribuna, cioè la possibilità di correre come capolista in un collegio plurinominale per il Pd. Il prezzo da pagare sarebbe però stato alto.

Di Maio avrebbe dovuto mandare a sbattere i suoi fedelissimi, raccolti sotto il simbolo di Impegno civico, il neonato partito presentato appena lunedì scorso. Senza di lui (ma anche con) la soglia del 3 per cento necessaria perché una lista coalizzata possa entrare in parlamento sembra lontanissima. Soprattutto dopo il forfait di L’Italia c’è, la lista civica nazionale dei sindaci, che ha gentilmente declinato la proposta di Enrico Letta di coalizzarsi con Impegno civico e si è rivolta al terzo polo nascente di centro di Matteo Renzi.

Nuovo interesse

LaPresse

Sabato scorso, Di Maio era riuscito a ottenere la candidatura di dimaiani nel 5 per cento dei collegi rimasti al Pd dopo la spartizione con Carlo Calenda. Conti alla mano, sarebbe stata una decina di posti tra Camera e Senato. Ora, però, l’assegnazione dei collegi uninominali è tornata tutta da discutere. Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli hanno già spiegato più volte di non aver bisogno del collegio uninominale e di essere felici di correre al plurinominali, ma per gli altri leader di partito l’opzione è interessante. È vero che secondo i sondaggisti l’addio di Calenda costerà al centrosinistra molti collegi uninominali, ma si tratta comunque di una possibilità più concreta di tornare in parlamento. 

A guardare da molto vicino gli sviluppi sono quindi Di Maio, ma anche Benedetto Della Vedova, finora fuori gioco in virtù del suo incarico di segretario di +Europa, oltre a Davide Crippa e Federico D’Incà, rispettivamente ex capogruppo M5s alla Camera e ministro per i Rapporti con il parlamento nonché leader di Ambiente 2050, associazione che raccoglie l’ultima ondata di fuoriusciti dal Movimento.

Lista d’attesa

Calenda aveva negoziato nel suo accordo bilaterale con il Pd il 30 per cento dei collegi uninominali per i rappresentanti di Azione e +Europa, mentre il Pd aveva poi spartito nei giorni successivi il suo 70 per cento tra l’alleanza Verdi-Sinistra Italiana e, per l’appunto, i dimaiani.

Ora, tramontata la tanto discussa ipotesi di correre a Modena, che resta uno dei pochi collegi dove il centrosinistra dovrebbe vincere facilmente, il ministro degli Esteri starebbe valutando di correre nella sua regione. In Campania nei mesi passati Di Maio ha lavorato parecchio, intessendo anche rapporti solidi con il Pd di Vincenzo De Luca, a costo di perdere le simpatie dei militanti della sua casa politica di allora, Movimento 5 stelle, che ora andrebbe a sfidare. 

Con il 30 per cento dei collegi calendiani da ridistribuire, poi, il futuro si fa meno buio anche per chi ha deciso di seguirlo nel suo addio, a giugno scorso, al Movimento 5 stelle. 

I tre favoriti per i nuovi posti disponibili saranno coloro che Di Maio sta cercando di tutelare fin dalla caduta del governo Draghi: la sottosegretaria all’Economia Laura Castelli, l’ex ministro Vincenzo Spadafora e il deputato Emilio Carelli. Ma se dovessero aprirsi altre possibilità i nomi da piazzare non mancano: dal capogruppo al Senato di Insieme per il futuro, la prima creatura di Di Maio, Primo Di Nicola all’ex ministra Lucia Azzolina, o ancora il braccio destro del ministro alla Farnesina, Manlio Di Stefano. Di certo, i dimaiani non dovranno più far campagna elettorale per un partito decapitato.

© Riproduzione riservata