Mentre fuori infuria lo scontro in vista dello sciopero di oggi e i movimenti ribollono, nelle aule di Camera e Senato va in scena il confronto a distanza tra maggioranza e opposizione, il cui unico punto di incontro è l’astensione.

La mattinata di ieri è cominciata con le comunicazioni del ministero degli Esteri Antonio Tajani, che ha informato l’aula sulla situazione in Medio Oriente e su tutti i passi del governo per garantire l’incolumità dei quaranta attivisti italiani che erano a bordo della Flotilla e fermati da Israele.

Poi è stato il momento di votare le mozioni: due della maggioranza, una di Italia Viva, una del Pd con M5s e Avs e una di Più Europa. La premier Giorgia Meloni aveva auspicato un voto unanime sulla mozione da lei anticipata da New York che impegna il governo a un riconoscimento della Palestina, condizionato dall’esclusione di Hamas dal governo e dal rilascio degli ostaggi, ma non è stato su quella che le opposizioni – che hanno votato contro come da pronostico – si sono incagliate in una guerra di distinguo. A provocare la frammentare dei partiti fuori dalla maggioranza, infatti, è stata la seconda mozione, che ha impegnato il governo a «compiere ogni attività utile a sostenere e favorire l’iniziativa di pace messa in campo dagli Usa, che oggi costituisce l’unica prospettiva realistica per porre fine ad un conflitto sanguinoso». Il testo, infatti, è stato sottoscritto anche da Azione e dal deputato del Misto Luigi Marattin e votato da Italia Viva.

L’esito finale, sia alla Camera che al Senato, è stato il sì di maggioranza più i firmatari e l’astensione di Pd, Avs e Movimento 5 Stelle. Un esito non scontato e che dai dem è stato registrato come una vittoria, se non altro perché ha evitato che il “campo largo” si spaccasse. L’operazione, gestita dal riformista Lorenzo Guerini, è stata quella di trovare una mediazione pur tra forze con posizioni non omogenee, con una mozione comune di Pd, Avs e 5S sul piano di pace di Trump, evitando per contro l’uscita dall’aula di Avs e 5S.

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