La vocazione garantista del centrodestra si ferma – o almeno rallenta bruscamente – davanti alla porta della commissione Antimafia. Guidata da Chiara Colosimo, che è deputata vicinissima ad Arianna e Giorgia Meloni, la commissione è tornata alla ribalta grazie all’interessamento in tutti i casi giudiziari che in questi mesi hanno avuto più attenzione mediatica, con l’effetto di amplificarli con inevitabili riverberi anche di natura elettorale.

Commissione parlamentare bicamerale d'inchiesta, l’Antimafia è ormai di fatto una commissione permanente con poteri di indagine molto intensi, che permettono di entrare nel merito anche di inchieste in corso e di agire attraverso audizioni con gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria. Una funzione non da poco, che ha trasformato i banchi della commissione in un megafono strategico, dal quale anche il segreto istruttorio rischia di essere trascinato via.

L’ultima mossa in ordine di tempo è stata quella di chiedere di acquisire gli atti delle tre inchieste in corso, appena scoppiate in altrettanti capoluoghi di regione e che hanno riguardato voto di scambio. In tutti e tre i casi, il clamore mediatico al momento della notizia è stato massimo e sta già influenzando le campagne elettorali regionali e comunali: Torino, con l’inchiesta a carico di Raffaele Gallo (padre di un consigliere regionale del Pd) in merito agli appalti dell’autostrada A32 e le sue commistioni sulla politica; Palermo, dove è stato arrestato l’esponente di FdI Mimmo Russo ma soprattutto Bari, dove le indagini hanno portato il Viminale a inviare la commissione d’accesso per valutare le possibili infiltrazioni mafiose nel comune.

Delle tre, la più rilevante in termini politici è l’inchiesta barese, con il possibile esito del commissariamento del comune guidato dal centrosinistra in seguito all’iniziativa del ministero dell’Interno, a pochi mesi dal voto di giugno. L’iniziativa del Viminale ha visto indirettamente coinvolta anche la commissione Antimafia, visto che il suo vicepresidente Mauro D’Attis, di Forza Italia, ha partecipato alla delegazione di sette parlamentari di centrodestra che hanno chiesto al ministro Matteo Piantedosi di «valutare l'invio» della commissione.

A breve, dunque, in Antimafia sfileranno tutti i soggetti a vario titolo interessati dal caso Bari: ieri è stato il turno di Giulia Romanazzi, presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari, ma poi toccherà al sindaco di Bari Antonio Decaro e al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Poi, ragionevolmente, si passerà a Torino e Palermo.

Si tratta di inchieste tutte ancora in corso, con contorni ancora non del tutto definiti a livello di indagine e ancora molti atti coperti da segreto. E se - come è stato nelle ultime occasioni - le audizioni non saranno secretate, il risultato rischia di essere quello di dare un palcoscenico a quel processo mediatico che sulla carta il centrodestra sta avversando sul piano legislativo. Come, per esempio, con l’iniziativa di rendere non pubblicabile per estratto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Le rivelazioni

Del resto, così è stato in un caso molto recente. La commissione Antimafia, infatti, ha accolto la richiesta di audizione del procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone e del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, in merito all’inchiesta sulla fuga di notizie dalla Procura nazionale antimafia, che vede indagati un finanziere, un magistrato e anche tre giornalisti di Domani. Rispondendo alle domande dei parlamentari, Cantone ha reso pubblica l’esistenza di un’inchiesta aperta dalla procura di Roma e fino a quel momento non nota. Con l’effetto distorsivo paradossale di parlare pubblicamente (a indagine in corso ancora nella fase preliminare) di un’indagine per fuga di notizie, rivelando lui stesso dettagli ancora inediti.

A bollare come «inusuale» la richiesta di audizione, del resto, è stato il procuratore generale di Perugia Sergio Sottani, che ha reso noto che verificherà «il corretto bilanciamento tra doveroso diritto dell’opinione pubblica ad essere informata nella fase delle indagini e il rispetto della presunzione di innocenza».

A dimostrare come la commissione Antimafia rischi di diventare l’anticamera del processo prima ancora che le indagini siano concluse è stata la richiesta di essere audito avanzata anche dal pm antimafia indagato, Antonio Laudati. Dopo le bordate di Cantone e Melillo, che ha parlato di «mandanti occulti», Laudati si è difeso dicendo di non aver «mai costruito dossier» e di aver agito «sotto il pieno controllo del procuratore nazionale antimafia». Ora, vorrebbe avere anche lui spazio per presentare pubblicamente le sue ragioni e rispondere alle domande dei parlamentari.

La sua audizione, però, non è stata calendarizzata e difficilmente lo sarà. «La prassi della commissione è di non ascoltare mai gli indagati, per non interferire con le indagini», spiega una fonte. Il finanziere Pasquale Striano non ha chiesto l’audizione, ma sulla base della stessa prassi l’Antimafia non lo chiamerà.

Questa dunque è la linea della commissione, anche sugli altri casi che ora sono attenzionati: gli indagati – se rinviati a giudizio – potranno difendersi solo nell’eventuale processo. Nel frattempo, invece, la commissione potrà ascoltare la voce della magistratura. Accendendo sì un faro su indagini per fatti gravi potenzialmente connessi alla mafia, ma anche aggiungendo utile rumore intorno alle inchieste più rilevanti per le possibili conseguenze elettorali.

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