La destra riparta da Tommaso Cerno. In occasione dell'ospitata di Giuseppe Conte ad Atreju il neodirettore del Giornale più che intervistarlo duella con il presidente del M5s, quasi che fosse un politico, più che un giornalista. Che ha governato con la destra, ma oggi sta in una coalizione che esiste a giorni alterni, provata anche dalle ultime dichiarazioni di Conte. Che in quest'occasione rende felici i meloniani: «Non siamo alleati di nessuno» dice l’ex premier.

Inizialmente l’intervista doveva essere condotta da Paolo Del Debbio, ma a prendere il suo posto è il nuovo cantore del melonismo, che in quanto a sicurezza sui capisaldi di Fratelli d’Italia può rivaleggiare con la presidente stessa. La sala è strapiena, i posti a sedere non bastano, a intervalli regolari qualcuno urla “seduti” senza ottenere nessun risultato. L’ambiente per Conte non è accogliente, anzi. Le opposizioni non sembrano più benvenute, altro che manifestazione aperta e ricerca del dialogo: l’introduzione di Augusta Montaruli sembra più una scarica d’insulti che un ringraziamento a un leader di minoranza che ha raccolto la sfida. «Per prima cosa abbiamo abolito il reddito di cittadinanza», «dobbiamo fare i conti con i suoi disastri» urla, anche se il pubblico non ha certo bisogno di essere scaldato. 

Poi prende in mano la situazione Cerno e immediatamente il livello dello scontro si alza. Si parla del bisogno di ascoltare i giovani – «La ministra Bernini li ha ridicolizzati» dice Conte, «Ma alcuni di loro sono falsi giovani, hanno a casa la foto di Meloni a testa in giù» controbatte il direttore – e poi il capo dei Cinque stelle prova a spostare il discorso sulla sicurezza. Una palla alzata a Cerno, che tira in ballo i due ragazzi del Corvetto che sono scappati da un alt. Uno dei due, Ramy, poi è morto, ma – anche se il direttore lo dice –la sala si ferma ad applaudire molto prima, alla parola «delinquenti». 

Alleati di nessuno

L’ex senatore del Pd sposta poi il discorso sulla coalizione di centrosinistra e stuzzica Conte sull’assenza di Elly Schlein: l’ex premier ribatte che a mancare è anche la premier, «ma verrà il giorno in cui sceglieremo il leader». «Un giorno molto lontano» dice con un sorriso sornione un signore nel pubblico. 

Il resto è una gara di populismo. Per fare fronte all’imboscata di Cerno, Conte ingrana un registro populista degno dei tempi del suo primo governo: tira in ballo il taglio delle accise promesso da Meloni in campagna elettorale e non mantenuto (e giù fischi) e la stabilità di governo che «serve solo per le agenzie di rating» e «porta a fare l’austerity che hai sempre combattuto». Lo stesso vale per il superbonus, che Cerno indica come la causa della scarsa incisività della legge di Bilancio di quest’anno. La sala esplode. 

«Una superscusa» replica Conte. «Potevate chiederne conto a Giancarlo Giorgetti e ai parlamentari di destra che hanno presentato emendamenti per espanderlo e prolungarlo, mi sembra disonorevole chiedere a me come è stato gestito poi». Uno dei pochi applausi arriva per l’accusa all’Europa di essere irrilevante nella trattativa sull’Ucraina, ma l’aria torna tesa quando si passa a parlare di giustizia. Il presidente M5s propone di investire di più nel sistema per renderlo più efficiente e di non legare la magistratura al governo di turno, e i “buu” non si tengono. Lo stesso vale per l’attacco a Meloni sulla «genuflessione» a Trump. Conte ribatte pronto: «Se volevate ascoltare la musica che sentite ogni giorno, non avreste dovuto invitarmi». 

Menare all’americana

Lo schema è sempre lo stesso: Cerno carica il pubblico con un accusa dritta, una volta contro i giudici, un’altra contro i migranti (i primi sono tutti di sinistra e il loro strapotere non ha argini, dei secondi appena entrano si perdono le tracce). Conte replica, presenta un’argomentazione che spesso non dovrebbe essere nemmeno così problematica per la platea che ha di fronte che però lo riempie ogni volta di fischi. A un certo punto deve intervenire Giovanni Donzelli da bordo palco per calmare le acque.

Il climax si raggiunge sul tema dei migranti: il direttore del Giornale conosce bene le contraddizioni della linea di Conte e sa dove affondare il colpo. Eppure, paradossalmente, l’ex premier è meno distante dalla linea della destra di quanto non lo sia Elly Schlein, e lo ha dimostrato anche in occasioni più recenti del decreto sicurezza. Ma niente da fare, il pubblico preferisce l’originale. 

Sulle parole d’ordine “Albania”, “cooperative” e “Soumahoro” la platea si scatena. Serve a poco la rivendicazione dell’ex premier sul fatto che lui e il suo movimento non hanno mai fatto «business» sui migranti, un’espressione che assomiglia tanto a quei «taxi del mare» di cui parlava Luigi Di Maio in epoca gialloverde. E comunque, poi, arriva addirittura a chiedere di cambiare argomento al direttore.

Poi, la ciliegina sulla torta, per Cerno, intenzionato a scovare e possibilmente amplificare tutte le distanze tra Conte e Schlein: dopo aver provocato l’ex premier fino a questo punto arriva a chiedergli se il Movimento possa mai essere alleato dei pochi neonati partiti musulmani. L’«alleato di nessuno» spiega che la coalizione potrà esserci solo con un accordo su un programma che contenga le priorità del Movimento. E le regionali? «Lì c’è un programma condiviso». 

Scatto di reni sul Covid, altro tema caro alla stampa di destra, in particolare la Verità: «Non sono mai scappato dal processo, ho sempre agito con onore. Ma non vedo mai nessuno di destra che tira in ballo Draghi. Come mai?» dice Conte. L’ombra del rischio che l’avvocato del popolo progressista torni azzeccarbugli populista si allunga su Atreju. 

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