Non è solo al centrodestra che la libera informazione non piace. Ieri, infatti, anche il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha attaccato molto duramente il nostro quotidiano, criticando l’editoriale del direttore Emiliano Fittipaldi.

Nell’articolo, che riguarda la vicenda politico-giudiziaria in Puglia, si criticava l’ipocrisia di Conte nel rivendicare «la battaglia storica dell’onestà», nonostante il anche politici Cinque stelle siano in passato finiti in inchieste e lo stesso Conte «era uso – appena pochi mesi prima di entrare in politica – fare affari milionari collaborando senza fare un plissé con pregiudicati condannati in via definitiva per reati gravi».

Il riferimento

Un riferimento alla compravendita dell’hotel di lusso a Venezia Molino Stucky da parte dell’imprenditore pugliese Marseglia: Conte fu infatti artefice dell’operazione a cui lavorò anche l’architetto Arcangelo Taddeo, che da poco era stato condannato in primo grado a 17 anni di carcere per bancarotta fraudolenta, condanna ridotta a sette anni in Cassazione ma passata in giudicato nel 2017.

«Taddeo fu scelto da Marseglia non da me» disse nel 2021 quando Domani scrisse la prima inchiesta «Quindi dovevo per principio evitare di lavorare all’operazione Molino Stucky con un condannato in bancarotta? Quindi un avvocato smette di fare l’avvocato?». Una domanda a cui un politico che usa (giustamente) la questione morale come core business della sua politica dovrebbe dare una sola risposta.

Secondo Conte «Fittipaldi mi ha già scritto articoli diffamatori divenendo megafono delle calunniose accuse di tal avvocato Amara», e «se lui riponesse nell'esercizio della professione di giornalista lo stesso rigore con cui io ho esercitato la professione di avvocato si sarebbe vergognato di scrivere tali calunnie», ha concluso. «Neppure questo ignobile articolo merita la mia rinuncia al rispetto della libertà di stampa».

La non smentita

Conte non ha mai smentito le ricostruzioni di Domani, che non si basavano sulle affermazioni di Amara al tempo tutte da verificare, ma su documenti che evidenziavano i pagamenti ottenuti da aziende gestite dalla famiglia Bellavista Caltagirone e dal lobbista Fabrizio Centofanti. Imprese finite in concordato preventivo e da cui Marseglia, con la consulenza di Conte e del bancarottiere Taddeo, comprò proprio il Molino Stucky.

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