Nelle ultime ore che precedono le comunicazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi al Senato, il Movimento è completamente spaccato in due. A seconda delle parole che sceglierà il premier di fronte all’aula di palazzo Madama, il M5s potrebbe separarsi ufficialmente. Una seconda grande scissione, tenendo conto della prima provocata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Le due frange di partito si muovono in maniera indipendente una dall’altra, quasi fossero già due gruppi distinti. A peggiorare ulteriormente il clima, estremamente teso nelle ultime settimane, hanno contribuito le riunioni dei parlamentari. Convocate e sconvocate diverse volte, con e senza Giuseppe Conte, senza che si sia presa una decisione definitiva. Durante gli incontri via Zoom sono volati insulti di ogni tipo. Il clima è talmente rigido che le chat tra i gruppi parlamentari si sono pressoché ammutolite, mentre le comunicazioni all’esterno si sono spente del tutto.

«Comunque vada a finire domani e giovedì (oggi e domani, ndr), certe cose non si ricuciono. Il Movimento è finito», dice un deputato. Che il posto migliore per i dissidenti sia ormai fuori dal M5s, l’ha confermato anche Giuseppe Conte in chiusura dell’assemblea. Se qualcuno si aspettava che difendesse i “governisti”, e andasse contro chi dava ai colleghi dei «traditori degni di sputi», è rimasto deluso. «Se qualcuno ritiene di non poter condividere un percorso così partecipato e condiviso, faccia la propria scelta in piena libertà, in maniera chiara, subito e senza ambiguità», ha detto. La frattura è dunque irrecuperabile.

I contiani

Da un lato c’è Conte, che ieri ha fatto perdere le sue tracce. Questa mattina, invece, potrebbe incontrare Draghi. Le ultime dichiarazioni sono quelle di lunedì, quando, dopo l’estenuante assemblea congiunta durata giorni, ha detto: «Adesso la decisione non spetta a noi ma al premier» ha detto, chiudendo così un dibattito che ha irrimediabilmente compromesso il partito che guida e che gli costerà in ogni caso nuovi addii.

Dopo gli incontri di Draghi con Enrico Letta e centrodestra, sembra aprirsi in serata anche la possibilità di un nuovo confronto anche con il leader del Movimento. Ma ormai, anche i parlamentari più fedeli sono rimasti spiazzati dal nulla di fatto covato per diversi giorni e nato tra le accuse dell’assemblea: speravano nella giornata di ieri, ma hanno avuto solo il silenzio del leader, ormai zoppo.

«Siamo in attesa, non abbiamo ricevuto nessuna indicazione», dice un deputato. Il sospetto è che il presidente del Movimento voglia decidere se votare o meno la fiducia a Draghi, solo dopo aver ascoltato il discorso del premier. Le comunicazioni cominceranno alle 9.30. Poi Conte avrà circa cinque ore e mezzo di discussione generale per scegliere la propria linea, prima di arrivare alla dichiarazione di voto, intorno alle 18.30.

«I senatori sono ormai nelle mani di Conte. Saranno perfino disposti a tornare sui loro passi, se avranno qualcosa in cambio. Ma è difficile aspettarsi una guida salda da una leadership così inconsistente», dice uno dei dissidenti. Servirà almeno la disponibilità di Draghi su superbonus e misure sociali per smuovere qualcosa nel muro dei senatori Cinque stelle, da giorni sulle barricate per le loro misure di bandiera. Certo, se dovessero tirarsi indietro, perderebbero la simpatia di Alessandro Di Battista e di alcuni fuoriusciti che sono tornati a considerare il Movimento interessante dopo l’apertura della crisi.

I dissidenti

Ad aspettare con ansia il discorso dell’ex banchiere sono anche i governisti, l’altra metà del cielo a Cinque stelle. Ieri, le ultime ore prima delle comunicazioni, sono trascorse nel lavoro febbrile per arrivare a offrire un impegno concreto al premier entro l’inizio del dibattito.

Dopo l’incontro di Draghi con Sergio Mattarella è filtrata una disponibilità di palazzo Chigi a inserire nel discorso rassicurazioni dirette alla fronda del M5s che ha dato nuovo slancio alle prospettive dei ribelli. A quel punto, i capicorrente si sono attaccati ai cellulari per convincere anche i colleghi più dubbiosi a offrire al premier un impegno concreto, da far precipitare in una dichiarazione pubblica. «Ma è ancora presto per esporsi pubblicamente», spiegano. In effetti, quasi tutti – sono almeno una ventina i parlamentari pronti a sostenere Draghi, alcuni che si sono già espressi, altri che sono con lui pur non avendolo ancora dichiarato – sono deputati. Se alla fine il «partito di Conte», come lo chiama Luigi Di Maio, dovesse decidere di votare a favore della fiducia al Senato, si sarebbero esposti per nulla.

È un cane che si morde la coda: senza un impegno solido, il timore dei dissidenti è che le dichiarazioni sparse dei singoli parlamentari e le rassicurazioni informali non bastino all’inquilino di palazzo Chigi per proporre un’apertura al Draghi bis nel suo discorso.

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