Il governo non cadrà sul Mes e nemmeno sul piano per il Recovery fund, o almeno così assicura il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il 9 dicembre il parlamento dovrà approvare la risoluzione di maggioranza per il sì alla riforma del Mes, il fondo di credito per gli stati che faticano a ottenere prestiti nel mercato. Lunedì, invece, si è svolto il Consiglio dei ministri per approvare l’impianto per l’utilizzo delle risorse del Next Generation Eu.

Entrambe le decisioni, però, sono oggetto di scontro nella maggioranza di governo. La figura più in bilico appare proprio quella di Conte: accusato di essere eccessivamente accentratore e nello stesso tempo incapace di far uscire il governo dallo stallo. Ora, però, la sintesi è necessaria e si riduce a un sì o un no che non pesa solo sul singolo provvedimento, ma anche sull’esecutivo. In questo contesto, ogni partito si sta muovendo su due piani, entrambi complicati: quello di posizionamento di breve periodo e quello di prospettiva futura, in vista di un nuovo governo a camere invariate o del ritorno alle urne.

Il Movimento 5 Stelle

Il partito di Luigi Di Maio è dilaniato sul Mes e rischia la scissione tra “governisti”, che pur di far sopravvivere il governo sono pronti a votare la risoluzione di maggioranza che impegni l’Italia a proseguire nella trattativa europea, e “irriducibili” che farebbero capo alle posizioni oltranziste di Alessandro di Battista e che non sono disposti a capitolare sul no al fondo salvastati. Il rischio di incidente in aula è dietro l’angolo, soprattutto al Senato dove la maggioranza è più fragile, e i grillini sono stati avvertiti da Pd e Iv: se la maggioranza non regge, sarà crisi. Il futuro dell’esecutivo - ma soprattutto di Conte - è in mano ai Cinque stelle: Vito Crimi ha assicurato che l’alleanza di governo reggerà, ma le avvisaglie di pericolo sono tali e tante da far temere che, se non sul Mes, l’inciampo possa comunque arrivare presto.

In caso di crisi, il Movimento 5 Stelle si troverebbe nella posizione peggiore. Con il gruppo di parlamentari così diviso, lavorare a una nuova maggioranza sarebbe impresa più che ardua e il ritorno alle urne spaventa altrettanto. Il consenso nei sondaggi si è dimezzato dal 32 per cento del 2018 al 15 per cento e, con il taglio dei parlamentari, i ranghi degli eletti grillini verrebbero più che dimezzati. Inoltre, il partito è logorato da uno scontro feroce con la Casaleggio associati e non ha una leadership definita da spendere in caso di campagna elettorale se non lo stesso Conte, oggi non certo gradito ai vertici del Movimento.

Per questo proprio di grillini arrivano rassicurazioni al governo e la minaccia di espulsione per chi non si adeguerà in aula. Il pericolo, però, è che ad aprire la crisi nelle prossime settimane possa essere Italia Viva, e allora nel Movimento le traiettorie sarebbero imprevedibili, a partire dalla resa dei conti che non si è consumata agli Stati generali di novembre.

Il Pd

Il Partito democratico è stato fino ad ora il punto di equilibrio del governo. Ha fatto da scudo a Giuseppe Conte anche a costo di venir tacciato di sudditanza nel confronti del bizzoso alleato grillino, ma ora anche dal Pd arrivano le prime vere avvisaglie di intolleranza.

Il segretario Nicola Zingaretti ripete da settimane che serve un «cambio di passo» sulle riforme (tra tutte, quella elettorale) e invita il governo a non «tirare a campare». Inascoltata è stata anche la sua richiesta di «irrobustire la squadra di governo».

Fuori dal gergo politico: la fiducia a Conte è a gli sgoccioli. Non c’è più spazio per la politica dei rinvii – le scelte sul Mes e sul Recovery plan erano in calendario già a settembre – e servono decisioni chiare: il Pd è favorevole al Mes e vuole chiudere al più presto la partita sul Recovery plan, proprio per sbloccare finalmente quella «stagione delle riforme» tanto chiesta dal Nazareno. Non a caso il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, ha definito l’appuntamento di mercoledì «una prova che non ha un appello»: il Pd vuole una prova di «vocazione europeista» e dunque, davanti allo stop in aula, «non avrebbe più senso portare avanti questa esperienza di governo».

Dentro al Pd c’è la convinzione che i Cinque stelle, per paura delle urne, si allineeranno alla maggioranza nel voto del 9 dicembre. I dem, però, sanno anche che da quel momento in poi l’azionista di maggioranza del governo potrebbe diventare ingovernabile. Dunque è bene prepararsi.

Il Pd è scettico sull’ipotesi di un terzo esecutivo di legislatura: è contrario il Capo dello Stato e non ci sarebbero le condizioni per ricucire lo strappo di una crisi. Per questo, lo scenario più accreditato sarebbe quello di un voto anticipato, che non da tutti viene visto come un male. Le urne azzererebbero o quasi il peso politico di Renzi, togliendogli il potere negoziale che ora è in grado di esercitare grazie alla truppa di parlamentari fuoriusciti dal Pd. Non solo: il voto aprirebbe di fatto una fase nuova, con il Pd attualmente al 20 per cento che supera i Cinque stelle di almeno 5 punti, invertendo dunque i rapporti di forza attuali. Con una situazione così ingovernabile, si ragiona al Nazareno, meglio andare al voto dopo aver approvato la legge di Bilancio che dà ossigeno a lavoratori e imprese ma prima di aver logorato del tutto la fiducia degli elettori.

Italia Viva

Matteo Renzi lo ha detto esplicitamente in un’intervista a Repubblica: «Noi siamo impegnati fino alla legge di Bilancio». Vale a dire fino alla fine dell’anno, poi la minaccia a Conte è chiara: liberi tutti. Italia Viva si è mossa facendo sponda con il Pd per mettere all’angolo il presidente del Consiglio. Ha contestato prima di tutto il metodo di Conte, accusandolo di aver tenuto per sé il piano sul Recovery fund, senza condividerlo con la squadra di governo salvo poi chiederne l’approvazione in Consiglio dei ministri quasi a scatola chiusa con una task force di tecnici delegata a gestire le risorse con l’ausilio dei ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, con il resto dell’esecutivo e Parlamento a debita distanza. Per questo Iv ha abbandonato il tavolo e di fatto bloccato i lavori.

L’obiettivo di Renzi, tuttavia, è di far cadere Conte, non di tornare alle urne. La legge elettorale è ancora il Rosatellum e non è adatta, a maggior ragione ora che è entrato in vigore il taglio del numero dei parlamentari, e i sondaggi sono inclementi nel relegare Iv attorno al 3 per cento. Il partito, però, prepara silenziosamente alla possibile nascita di un nuovo governo - l’ultimo della legislatura – il cui tassello chiave sarebbe un nuovo premier. Il nome, Renzi lo ripete da mesi: l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, l’unico forse che potrebbe far superare al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la contrarietà ad un nuovo esecutivo senza prima tornare al voto.

Di conseguenza, le mosse delle prossime ore di Italia viva saranno studiate fin nei minimi dettagli: non si può lasciare spazio per crisi al buio dovute magari a uno scontro tra i grillini, la trappola a Conte in parlamento può essere attivata solo con la certezza che tutte le parti in causa – il capo dello Stato per primo – siano pronte a consultazioni lampo per costruire un nuovo esecutivo “europeista”, dentro cui potrebbe trovare spazio anche Forza Italia.

Il centrodestra

In una crisi tutta interna alla maggioranza, il centrodestra sta facendo da spettatore. Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno annunciato che la coalizione voterà no al Mes e aspettano che il governo si saboti da solo. Poi la richiesta sarà quella di un ritorno alle urne, da cui entrambi hanno solo da guadagnare.

L’incognita rimane Forza Italia: dopo aver teso la mano al governo, Silvio Berlusconi è tornato ad allinearsi agli alleati sul no al Mes. La mossa d’imperio, però, ha provocato più di qualche insofferenza nel gruppo dei forzisti della prima ora, come Renato Brunetta, che tanto si sono adoperati in queste settimane per aprire il dialogo col governo. Una possibilità, dunque, è che al Senato i voti mancanti dei grillini possano essere forniti dai ribelli di Fi, che da mesi ripetono di non «voler morire leghisti».

Un ritorno al voto rischia di essere il colpo di grazia per il partito di Berlusconi, in affanno nei sondaggi e schiacciato dagli alleati sovranisti. Per questo, gli interessi (e dunque le mosse parlamentari) di Iv e Fi potrebbero coincidere: un nuovo esecutivo, in cui Fi potrebbe entrare anche con appoggio esterno.

© Riproduzione riservata