Per gestire i 209 miliardi del piano europeo Next Generarion Eu, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta valutando di formalizzare un comitato di sei manager per seguire le parti principali del piano, per affiancare il ministro degli Affari europei Enzo Amendola che per il governo sta coordinando da mesi il dossier.

Dell’ipotesi se ne è parlato nella riunione di venerdì tra Conte, Amendola e il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri con i capi delegazione dei partiti di maggioranza. Sui nomi ancora niente di ufficiale, ma l’ipotesi che Conte persegue e che ha iniziato a sottoporre ad alcuni dei diretti interessati è quella di indicare direttamente sei tra i principali amministratori delegati di società controllate dallo Stato: Claudio Descalzi (Eni), Francesco Starace (Enel), Marco Alverà (Snam), Gianfranco Battisti (Ferrovie dello Stato), Alessandro Profumo (Leonardo – Finmeccanica) e Fabrizio Palermo (Cassa depositi e prestiti), affiancati dall’onnipresente Domenico Arcuri, commissario straordinario per l’emergenza Covid.

Il problema giudiziario

Questa struttura potrebbe sembrare bizzarra per più di una ragione, a cominciare dalla fedina penale di alcuni dei manager coinvolti: Descalzi è imputato a Milano per corruzione internazionale e indagato in un filone laterale che riguarda il depistaggio giudiziario dell’inchiesta principale, Battisti delle Fs – come ha rivelato Domani – non è indagato ma si trova a gestire un conflitto interno alle Ferrovie che vede un suo alto dirigente sotto indagine per corruzione e la procura di Roma al lavoro sui rapporti tra il gruppo pubblico e le Assicurazioni Generali.

Profumo è stato condannato di recente in primo grado a sei anni di carcere per false comunicazioni sociali per i bilanci del Monte Paschi di cui è stato presidente tra 2012 e 2015 (anche se perfino i pm aveano chiesto l’assoluzione, visto che Profumo ha di fatto solo recepito le indicazioni della Banca d’Italia su come contabilizzare i derivati).

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Oltre al dato giudiziario, c’è il potenziale conflitto di interessi: i sei manager hanno come azionista di riferimento lo Stato, ma quasi tutti loro stanno in società quotate che hanno anche soci privati ai quali devono rendere conto e garantire dividendi, mentre l’impiego delle risorse europee nel Recovery Plan italiano dovrebbe essere deciso con un’ottica di lungo periodo che guardi all’interesse del paese, prima che all’andamento di Borsa delle sue società più grandi.

Però Conte e i suoi ministri si sono convinti da tempo di non poter contare sulla pubblica amministrazione soltanto per gestire i soldi in arrivo e si affannano a creare strutture parallele, nella convinzione che questo permetta di accelerare tempi e garantire risultati (per ora ha soltanto complicato i rapporti con i pezzi dello Stato tagliati fuori dalla sfida più importante dei prossimi anni).

Già attivi nell’ombra 

Nella sostanza, che il super comitato venga esplicitato o rimanga informale non cambierà molto: da mesi le grandi aziende a controllo pubblico, in particolare quelle dell’energia, hanno dialoghi costanti con il governo, di solito dal lato del ministero dello Sviluppo di Stefano Patuanelli o direttamente con palazzo Chigi, per indirizzare verso i progetti loro più cari i 209 miliardi. Idrogeno, decarbonizzazione, infrastrutture energetiche e di trasporto: progetti presentati come nell’interesse del paese, certo, ma che possono anche creare opportunità di business fondamentali per le aziende che guidano il processo, un po’ meno per i loro concorrenti davvero privati che infatti protestano.

Descalzi di Eni ha rivendicato questo ruolo direttivo nelle decisioni sul Recovery fund in una intervista la Corriere della Sera, un paio di giorni fa: ha parlato di “quattro aree” di intervento e di usare i soldi del Recovery fund per tecnologie di cattura di anidride carbonica e investimenti sulle energie rinnovabili, così da creare “tra i 70 e i 100mila posti di lavoro” in Italia. L’Enel di Starace ha almeno altrettanti fronti di interesse, dall’installazione delle colonnine per la ricarica delle auto elettriche agli incentivi per acquistarle agli investimenti sulla banda larga che influenzano il valore della partecipata Open Fiber fino a tutti gli interventi più strettamente legati alla transizione verso energie più verdi, con l’abbandono del carbone e la costruzione di una filiera dell’idrogeno che è una delle priorità anche per la Snam di Marco Alverà. 

L’attività discreta per condizionare il modo in cui verranno spesi i soldi del Recovery Fund è cominciata da diversi mesi, adesso Conte sta valutando di renderla più esplicita. Resta da capire se i partiti e i parlamentari saranno disponibili a lasciare tanto spazio ai manager pubblici che, nel comitato di vertice, risponderebbero soltanto a Conte che si troverebbe così a essere il regista incontrastato della partita più decisiva dei prossimi anni.

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