Il 26 ottobre 1997, 25 anni fa, in tanti comuni delle regioni del nord (e pure in Toscana, nelle Marche e in Umbria) spuntarono seggi-gazebo in cui si votava per il parlamento della Padania. Oltre un anno dopo le elezioni politiche del 1996 (vinte dal centrosinistra) la Lega Nord, autonoma rispetto alle due coalizioni in campo, coinvolse iscritti e simpatizzanti nell’elezione di un’assemblea incaricata di scrivere la Costituzione dei popoli (o delle comunità) della Padania. Il tutto mentre a Roma si discuteva di una possibile riforma costituzionale, elaborata dalla Commissione bicamerale guidata da Massimo D’Alema, ma naufragata in pochi mesi.

Un quarto di secolo dopo, è facile dire che non c’è stato lo “strappo” delle regioni del nord Italia. Il partito che aveva promosso il voto ha poi perseguito fini diversi dall’indipendenza della Padania; l’idea della secessione è stata del tutto archiviata dopo che, finito il 2017, la Lega Nord ha ridotto l’attività (anche per i 49 milioni di euro di “rimborsi elettorali” da restituire).

Le liste

Ferrario / AGF

Parte del nome e il cuore del simbolo – la statua di Alberto da Giussano – sono ora schierati dalla Lega per Salvini premier, che ha sede sempre in via Bellerio a Milano, ma non coincide col partito che proprio dal 1997 si fregiava del “Sole delle Alpi”, oggi accantonato.

A distanza di tempo colpiscono i numeri del voto per formare il parlamento della Padania che si riuniva a Chignolo Po. La Lega Nord allora dichiarò 6.032.406 votanti, espressi in 21.901 seggi: il sottosegretario ulivista Arturo Parisi parlò di un massimo di 600mila voti in circa 6mila seggi. Eppure anche quei numeri ridotti (su territori limitati) oggi sarebbero guardati con rispetto, al tempo in cui non si tocca il 64 per cento di affluenza alle elezioni politiche; quanto alle contestazioni sulla “bontà” dei voti, si sarebbero ripetute in più forme anche in altre successive consultazioni autogestite, a partire dalle primarie nazionali, regionali o locali.

Alle primarie, peraltro, si confrontano di solito singoli candidati, mentre in Padania si contarono ben 43 liste, a fronte di 63 simboli depositati: 26 delle forze concorrenti ottennero almeno uno dei 200 seggi distribuiti in 46 circoscrizioni. Con 50 eletti prevalse la lista “social-laburista” dei Democratici Europei dell’ex sindaco di Milano Marco Formentini; si fermarono a 45 i Liberal democratici - Forza Padania di Vito Gnutti, più conservatori e liberali. Raccolsero una ventina di seggi a testa la Destra Padana di Enzo Flego e i Cattolici Padani di Giuseppe Leoni; superarono la decina i Leoni Padani (venetisti) e la Padania liberale e libertaria; arrivarono a 5 eletti l’Unione Padana di Erminio Boso (attenta al territorio) e i Comunisti Padani di Mauro Manfredini, mentre strappò un seggio la Lista Pannella, con la prima elezione di Benedetto Della Vedova.

Un gioco interno

Da più parti si è contestato il valore e la “serietà” delle liste e dell’offerta elettorale, come se quel voto fosse una sorta di “gioco” interno alla Lega Nord e al suo mondo. Eppure quello, coi suoi limiti, fu un rito vero e proprio (con tanto di “macchina elettorale” complessa): molti di coloro che parteciparono lo fecero credendo davvero all’idea di una Padania che meritava di scrivere le sue “regole del gioco” e il proprio destino.

Se in un anno il panorama politico può mutare, 25 anni sono un’era geologica. Dei 95 attuali parlamentari leghisti, solo due concorsero alle elezioni padane, ma sono figure cruciali: il senatore e ministro Matteo Salvini (eletto a Milano tra i Comunisti padani) e il deputato Igor Iezzi (non eletto coi Democratici padani a Milano), cioè il segretario federale della Lega per Salvini Premier e il commissario federale della Lega Nord. Vanno però valutati anche altri dati, perché la carica di parlamentare padano era «incompatibile con quella di membro di qualsiasi altro parlamento», tranne che del Parlamento Europeo»: senatori e deputati del Carroccio, così, non si candidarono in Padania (tranne Vito Gnutti, che poi lasciò Palazzo Madama).

I gruppi parlamentari della Lega per Salvini premier e quelli della Lega Nord nella XIII legislatura hanno in comune i neoministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli, allora eletti alla Camera, nonché Umberto Bossi, appena rieletto deputato dopo la suspense sui conteggi. A loro si può aggiungere chi riveste tuttora altre cariche (come l’assessore lombardo Davide Caparini, nel 1997 deputato); volendo, poi, è tornata in Senato Daisy Pirovano, figlia di Ettore, deputato leghista in quella legislatura.

I tratti che uniscono la Lega (Nord) del 1997 e quella attuale dunque ci sono (e alcuni sono significativi), ma sono altrettanto evidenti le differenze rispetto ad allora. E se il rito di Pontida, di cui ha scritto Gianluca Passarelli poche settimane fa sul Domani, è rimasto, quello delle elezioni nei gazebo non si è più ripetuto con quelle forme. Chissà che risultati darebbe oggi, quali liste e con quali simboli potrebbero presentarsi…

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