L’uso politico della Costituzione è uno sport nazionale. Lo hanno praticato tutti, i partiti di maggioranza e di opposizione, le forze sociali, intellettuali e comuni cittadini. Lo sta facendo anche la nuova maggioranza. Il mantra del sovranismo dei vincitori è ora la “difesa della Costituzione”. Ma di quale Costituzione si parla? Quali sarebbero oggi i “nemici” della patria?

Le dichiarazioni programmatiche di autorevoli esponenti della destra hanno chiarito il senso e l’obiettivo. Occorre superare il primato del diritto dell’Unione europea e riaffermare la sovranità della Costituzione italiana. Come se l’una e l’altra fossero in contraddizione. Un progetto di legge della precedente legislatura (prima firmataria Giorgia Meloni: atto 291, Camera dei deputati), che si vuole reiterare pure in questa, vuole «far rivivere il contenuto originario della Carta, così come stabilito dai padri fondatori».

Il risultato di tale “originalismo” sarebbe la riscrittura dell’articolo 11 della Costituzione, aggiungendo questo comma: «Le norme dei Trattati e degli altri atti dell’Unione europea sono applicabili a condizione di parità e solo in quanto compatibili con i principi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri principi della Costituzione italiana».

Riscrivere tutto

Altro che ritorno alle origini! Lo scopo non sarebbe affatto il ripristino di una “condizione originaria” che non c’è mai stata, sia perché nel testo dell’articolo 11 resta fermo il principio che ammette quelle “limitazioni di sovranità” che hanno permesso la fondazione e gli sviluppi dell’Ue che oggi si vorrebbero ridurre, sia perché le intenzioni dei costituenti e di tutte le forze politiche che hanno “portato” la Costituzione e partecipato da protagoniste al processo d’integrazione hanno voluto che l’Europa unita fosse il destino della Repubblica italiana.

L’uso sovranista delle riforme, allora, avrebbe il senso di ridurre proprio ciò che la Costituzione, fin dall’inizio, invece permetteva e ancora oggi legittima. Detto altrimenti: si usa questa Costituzione per realizzare un’altra Costituzione; si parla di revisione per mutare radicalmente la nostra Carta.

Le costituzioni liberaldemocratiche, come la nostra, sono state scritte per limitare il potere e, dopo le crisi e i drammi del primo Novecento, per addomesticare proprio e soprattutto le stesse maggioranze democraticamente elette. Ecco il senso della sovranità popolare che si «esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (articolo 1).

Contropoteri e princìpi

La Costituzione si impone alla legge, può essere modificata ma solo nel rispetto dei suoi principi supremi (tra cui l’articolo 11, laddove prevede limitazioni di sovranità a favore di ordinamenti che assicurino la pace e la giustizia tra le nazioni), è garantita da diversi contropoteri, tra cui il capo dello stato e la Corte costituzionale.

Cose note, da ricordare bene. Il fatto è che la Costituzione italiana, il suo testo scritto, inverato nella storia, grazie ai partiti (anche da parte del Movimento sociale italiano e di Alleanza nazionale che hanno accettato l’integrazione sovranazionale anche come fonte di legittimazione politica), stabilisce dei principi indisponibili e insuperabili, pure con la revisione. Tra questi, condensati negli articoli 10, 11, 81, 97, 117 e 119, vi sono l’apertura al diritto internazionale e l’integrazione europea: l’uno e l’altro stabiliti in vista del progressivo superamento della «sovranità esclusiva dello stato».

Forza della storia, divenuta forma e sostanza costituzionale nel 1948 e sempre più concretamente negli ultimi settant’anni. Tutto ciò ha salvato l’Italia: dalla dittatura e dalla guerra, dalla perdita di valore della lira, dalla crisi economica e dal rischio di default, dalla tragedia della pandemia. C’è ancora molto da fare, ma quei fatti storici dimostrano quanto videro lungo i padri costituenti e tutti, ripeto, tutti i partiti egemoni della storia della Repubblica.

La sovranità europea

Il destino dell’Europa unità è il destino dell’Italia: noi patrioti abbiamo scritto insieme ad altri il principio per cui i fini comuni dell’Europa prevalgono su quelli dei singoli stati. Non in assoluto, certo, perché abbiamo limitato la nostra sovranità senza rinunciarvi: ciò significa – e non è poco – che la Costituzione italiana va protetta quando il diritto europeo ne tradisce la comune essenza (stato di diritto e tutela dei diritti). Ma non è questa la posta in gioco.

Il primato del diritto dell’Ue non è una neoplasia di cui sbarazzarci: sta nella Costituzione italiana e, reciprocamente, nelle Costituzioni degli altri 26 stati membri. Non esiste alcuna asimmetria su questo punto, come lamentano invece i nostri sovranisti. Dirò di più: un autentico sovranismo dovrebbe farci ragionare sul fatto che è in Europa che si gioca la sfida della sovranità, perché è a Bruxelles che gli stati membri possono e devono scrivere le regole di questo comune destino.

Anche per questo affermare che la Costituzione deve prevalere sul diritto dell’Ue è un nonsense. O, meglio, equivale a manifestare altro: la voglia di “uscire dall’Europa”. Ecco il disvelamento del sovranismo nostrano. Per realizzare questo fine reale, nascosto col paravento dell’appello alla Costituzione, ci sono due strade. La prima a Bruxelles: negoziando una Italexit (a proposito: il partito ad hoc ha preso un misero 1,8 per cento), l’unica via d’uscita legale, secondo i Trattati e la stessa Costituzione, per rifiutare il primato del diritto comune dell’Ue.

La seconda a Roma: cambiando, con uno sbrego, la Costituzione vigente. L’una e l’altra via sarebbero un atto di tracotanza contro, non per, il popolo italiano. La prima: la sovranità popolare che legittima il potere è in funzione della realizzazione della persona umana e ciò, per la nostra Costituzione, è possibile solo in un’Europa ancora più unita e ancora più interessata al bene comune di tutti i suoi cittadini (i 209 miliardi di Next Generation Eu ne sono una prova tangibile).

La seconda: una revisione costituzionale siffatta andrebbe scritta col consenso dell’intero paese che, se davvero si vuole sovrano, dovrebbe assumere questa decisione avendo presente, però, che riguarda il suo futuro e quello di chi verrà dopo di noi e non i desideri, per quanto legittimi ma pur sempre limitati, dei detentori occasionali del potere politico.

© Riproduzione riservata