L’impressione che si diffonde col passare dei giorni è che, come in un fantascientifico viaggio spazio-temporale, ignote forze politiche abbiano proiettato ai vertici delle istituzioni di una delle nazioni più moderne e industrializzate del mondo una capsula proveniente dal lontano passato, transitata indenne attraverso le trasformazioni culturali e le rivoluzioni di costume che hanno segnato gli ultimi sessant’anni della società italiana.

Appena atterrata, apertosi l’oblò, hanno iniziato a diffondersi nell’aria valori, parole, immagini lontane e dimenticate. Il discorso della vittoria di Giorgia Meloni la notte delle elezioni ne era intriso. Tutto rivolto a un passato da ricordare, una memoria da onorare, personaggi da celebrare, alla restituzione di un orgoglio patrio sottratto non si sa bene da chi, al ritorno a un passato glorioso e negato, peraltro già insito nello slogan «pronti a risollevare l’Italia» scelto per la campagna elettorale.

Un’Italia vittima di una ingiustizia non più tollerabile, che richiama la mistica della vittoria mutilata che ha alimentato la nascita del partito fascista. Ma al di là delle le contiguità o delle eredità del fascismo, ciò che interessa è quale universo valoriale e modello di società alimentano la cultura politica del partito di Giorgia Meloni, e se e quanto siano conciliabili con l’Italia di oggi.

Dio, patria, famiglia

Costretta ad attenuare nel corso della campagna elettorale le posizioni anti immigrati e a rivedere le punte più estreme di sovranismo in chiave antieuropea, Meloni ha innalzato la sacra triade dio, patria, famiglia, che promuove e si regge su una visione gerarchica, statica, conservatrice della società, in cui le autorità prevalgono sugli individui, le diversità, le pluralità. Dove risaltano il senso del dovere e del sacrificio, sorretti dall’onore e dall’orgoglio, dalla fedeltà. In politica, nei rapporti familiari, in campo religioso.

Un impasto che sembra anteporre alla deriva della secolarizzazione e dei liberismi il ritorno a una società autoritaria, ecclesiastica, tradizionale. Ma davvero l’Italia del 2022 si riconosce in questi valori e condivide il progetto di una società fondata su di loro?

Gli anni Settanta

Con tutti i distinguo del caso, l’ultima stagione in cui i partiti italiani hanno fatto appello all’etica della responsabilità, al valore del sacrificio, a una concezione morigerata e pauperista della vita, sono stati gli anni Settanta.

La Dc vedeva la sua visione tradizionale della società e della famiglia spazzata via da quella che Pier Paolo Pasolini aveva denuncia come una «laicizzazione ebete della società», emersa in tutta la sua forza in occasione del referendum sul divorzio del 1974.

Il Partito comunista fondava sulla responsabilità e sulla politica dei sacrifici la stagione di collaborazione con la Dc che, nella seconda metà del decennio, è naufragata sotto i colpi del terrorismo e del diffondersi di nuovi valori e modelli sociali.

Si preparava il passaggio agli anni Ottanta che sono stati l’emblema dell’edonismo, del riflusso nel privato, dell’abbondanza, dell’abbandono di una visione collettiva e comunitaria della società a favore dell’individualismo spinto alla ricerca del piacere, del divertimento dell’arricchimento individuale sull’onda dell’esplosione delle borse. 

Il craxismo, con l’invenzione del made in Italy, il culto del look, le discoteche di Gianni De Michelis, il dinamismo sfrenato della “Milano da bere”, il rampantismo, è diventato l’interprete e l’alfiere di un laisseiz-faire che in alcuni casi è sconfinato oltre il lecito.

Differente, ma non diverso, il messaggio che nella seconda metà del decennio ha sorretto l’affermarsi delle diverse leghe prima, e della Lega lombarda poi. A fianco dell’invenzione di una tradizione folcloristica padana a base di matrimoni celtici e riti al “dio Po” che ha fatto da collante simbolico, c’erano, al fondo, il rifiuto di ogni controllo o autorità “esterna” e la rivendicazione di una totale libertà, sino all’indipendenza, perfettamente incarnati nello slogan “padroni a casa nostra”.

Gli anni Novanta

Negli anni Novanta il nuovo miracolo italiano di Silvio Berlusconi, ha unito lo sfolgorante mondo delle televisioni commerciali e il culto dell’entertaiment a una linea politica ed economica conservatrice. Lo stato non deve mettere le mani nelle tasche degli italiani, il fisco non deve opprimere i cittadini, troppe tasse e troppo stato, la giustizia non deve perseguitare le persone. Non vi sono autorità nel mondo di Berlusconi, se non la sua, non c’è l’esaltazione del sacrificio, della fedeltà, delle tradizioni. In questo il leader di Forza Italia è un conservatore piuttosto anomalo che strizza l’occhio ai difetti, ai vizi, ai desideri di milioni di italiani che si riconoscono nel suo modello.

Anche venendo a epoche più recenti, il rifiuto di ogni autorità superiore, istituzionale quanto morale, e la rivendicazione di una estrema libertà personale e di costumi sembrano rimanere uno dei tratti degli elettori italiani. Quello strano ircocervo del Movimento 5 stelle che è arrivato sulla scena politica italiana all’inizio del nuovo millennio, né di destra, né di sinistra ma, al contempo, metà di qua e metà di là, è esploso sull’onda del vaffa, dello sberleffo del comico, dell’accusa indistinta alla casta politica, venato di un populismo che non può per sua stessa natura essere rispettoso di alcuna autorità, tradizione, gerarchia. E anche in questo caso, valori quali onore, rispetto, sacrificio, tradizione, suonano totalmente fuori corso.   

Come le analisi stanno mettendo in luce, quest’anno la lotteria del voto di protesta sembra essersi fermata sulla ruota di Fratelli d’Italia. Ma quanti dei moltissimi che hanno votato questo partito non certo sulla base di nostalgie o rigurgiti neofascisti son disposti a condividerne le gerarchie valoriali? Sarà interessante vedere se queste tematiche verranno declinate e proposte, nel tentativo di farne una politica culturale “nazionale” e non più di una comunità politica ristretta e a lungo marginale, o se invece, rimarranno solo simulacri vuoti, evocativi, sganciati da ogni traduzione pratica, sostituiti da politiche economiche e sociali di ben più diretto impatto.

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