Emanuela Ambrosino è una giornalista scientifica di Sky Tg24 e da più di dieci anni si occupa di salute, scuola e più recentemente di Covid.

«Fino all’arrivo della pandemia ero la classica giornalista che si occupava dei temi considerati sfigati, poi mi sono serviti per raccontare il Coronavirus», premette prima di raccontarmi la sua storia familiare. Non solo. La conoscenza della materia l’ha aiutata a individuare precocemente una rara e pericolosa conseguenza del Covid in suo figlio Alessandro, 14 anni. La Mis-c è una sindrome infiammatoria acuta che può colpire alcuni organi dei bambini fino a quattro settimane dalla guarigione dal Covid. 

«Mio figlio i primi di maggio di quest’anno prende il Covid. Era quasi asintomatico, un po’ di mal di gola e poco più di 37 di febbre. Dopo 11 giorni torna negativo. Specifico che parliamo di un ragazzo di tredici anni, sportivo, alto 1,90, che fa pallanuoto a livello agonistico».

Nessuna patologia?

No e non ricordavano neppure una sua influenza, tanto che poi i medici lo hanno paragonato a Mattia, il paziente 1. Fisici resistenti, allenati, a cui capita l’imprevedibile.

Avevi mai sentito parlare di Mis-c?

Poco tempo prima avevo letto un documento ufficiale sulla Mis-c, si parlava di casi nei bambini in America dopo il Covid e in parte anche in Lombardia, dove c’era stato un incremento di casi. Sapevo che era un’infiammazione che colpisce i ragazzi dagli otto ai sedici anni e che aveva conseguenze anche serie.

Alessandro torna a scuola intanto.

Lui torna a scuola il 17 maggio e io vado al San Paolo, dove realizzo un servizio sulla Mis-c. Il primario Banderali mi dice di aver visto un paio di casi e mi descrive i sintomi. Dopo pochi giorni dal rientro di mio figlio a scuola inizia l’incubo.

Cioè?

Tornava da scuola, si addormentava, si svegliava alle otto di sera, mangiava e dormiva di nuovo. Un giorno mi chiamano da scuola e mi dicono che si è addormentato in classe, non riuscivano a svegliarlo. Aveva sempre gli occhi rossi. Finché non gioca a pallone al parco e mi fa “ho male ai piedi”. Si toglie le scarpe, aveva i piedi aperti, infiammati.

Chi hai chiamato?

Il pediatra, che mi tranquillizza. Dopo 14 giorni dalla sua guarigione dal Covid gli viene la febbre. Dorme con me, gli do un medicinale, ma la febbre non scende. Era il 2 giugno, un giorno di festa, lo porto in quel pronto soccorso dove ero andata a realizzare il servizio sulla Mis-c. Non volevo sembrare il “genitore Google” che si allarma per nulla, lì sapevano che mestiere faccio.

Cosa ti dicono?

Dopo alcuni esami, dicono che è Mis-c. E che sarà curato con l’unica cura che esiste, le immunoglobuline.

Eravate tutti sorpresi, immagino.

Anche per i medici era una cosa abbastanza nuova, quindi il primario del San Paolo si è consultato subito con quello del Mayer, con quello del Bambino Gesù, si è deciso di usare queste 40 sacche di gammaglobuline. Le 40 ore dell’infusione sono state durissime. La febbre è calata, poi è arrivato il mal di testa. Intanto gli avevano fatto tutti gli esami cardiologici per escludere la miocardite che è un sintomo frequente in questa infiammazione. Si può finire in terapia intensiva perché l’infezione può raggiungere polmoni, encefalo, cuore.

Tuo figlio era spaventato?

No, era calmo, ma vedeva nei miei occhi il terrore. Dormiva spesso, gli hanno dato cortisonici molto forti quindi l’hanno sedato due giorni.

Poi si è ripreso.

Ha ricominciato a fare lezione a distanza, doveva dare l’esame di terza media, ci teneva tantissimo. Si è perso l’ultimo giorno di scuola, le gare di atletica, tutto, ma ha chiesto ai medici di aiutarlo a dare l’esame in presenza.

C’è riuscito?

Con 11 chili in meno, ma lo abbiamo accompagnato a scuola e l’ha dato. Era ancora immunodepresso. La tesina l’avevamo preparata in ospedale con tutte le infermiere, cercando le foto, poi mio marito a casa ce l’ha stampata.

Diciamo che è una sindrome molto seria, dunque, ma i ragazzini guariscono.

Sì, ma dopo ci sono mesi di paura, di convalescenza, di analisi e di profonda stanchezza. E nel mio caso parliamo di un ragazzo di 1,90, sportivo, che ha ripreso a fare sport solo ora da maggio. L’altro giorno ho parlato con una madre il cui figlio ha avuto la Mis-c, lui pesa 47 chili, fatica a riprendersi, aveva fatto anche un giorno di terapia intensiva.

Tuo figlio ora è vaccinato?

Ha iniziato il liceo classico, è pieno di voglie di fare, di uscire, di femmine, di testosterone. Certo che si è vaccinato. Il 20 dicembre. Abbiamo deciso che saremmo andati insieme, io per la terza dose e lui per la prima. Mi ha detto: “Mamma mi regali una giornata io e te?”. Dopo il vaccino alle Scintille abbiamo fatto un brunch a City Life e poi il pomeriggio abbiamo visto insieme una serie sul divano. Il giorno dopo è andato a fare sport.

Ha paura di riammalarsi con Omicron?

No. La sindrome colpisce un ragazzino ogni 100 000, ogni tanto quando vede le statistiche dice che non può pensare che sia successo proprio a lui. Dice: oh, la mia sfiga già l’ho avuta.

Anche tua figlia Camilla che ha sei anni è vaccinata?

Ha fatto il vaccino il primo giorno delle vaccinazioni aperte ai bambini della sua fascia d’età. Ha avuto la seconda dose il sei gennaio. Si sente libera e serena, anche nel ricominciare a riavere una vita normale. Poi per lei il ricovero del fratello è stato traumatico.

Tu non ti sei ammalata?

Sono immune, apparentemente. Quando c’è stata la prima ondata sono stata assieme a Bertolaso quando ha preso il Covid, a Caiazzo, ho avuto 70 contatti con Ats. Neppure mia figlia me lo ha attaccato. Sono monitorata nello studio sui super resistenti, ma sia chiaro: ho fatto le tre dosi di vaccino.

È cambiato il rapporto con tuo figlio dopo questa vicenda?

Quando è stato ricoverato eravamo io e lui in una stanza in isolamento con doppia porta, siamo stati soli per giorni, con lui che parlava al telefono con la fidanzatina, gli amici. É stata una full immersion nella sua vita. Ho capito tanto di lui. E lui ha capito qualcosa di me perché arrivavano i medici e commentavano “Menomale che tua mamma ha capito subito cosa avevi, abbiamo evitato conseguenze peggiori”. Alessandro allora un giorno mi ha detto: “Mamma, sai, io non avevo mai capito il valore del tuo lavoro”.

Quanto è importante spiegare ad adulti e figli l’importanza del vaccino, soprattutto alla luce della tua esperienza?

Ti dico una cosa: realizzo servizi, so di cosa parlo. Al centro vaccinale, tra i bambini dei primi giorni, nessuno piangeva. Quelli erano figli di genitori molto convinti, che sono andati subito. Ora vedo bambini che hanno il classico calo di zuccheri, piangono, hanno paura. I genitori che generano paure, rendono l’evento più traumatico. Mio figlio, che ha passato quello che ha passato,  mi ha detto: “Noi che sapevamo tanto del Covid, non abbiamo avuto paura”.

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