Il Pd comincia a parlare di voto e i parlamentari di Italia viva chiedono un confronto che guardi alla fine della legislatura. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio del Pd Andrea Martella ha dato il la: «Noi vogliamo lavorare per allargare la maggioranza, per dare una prospettiva a questo governo, per affrontare i problemi degli italiani. Vedremo se siamo in grado di farlo in ogni caso non temiamo le elezioni. Saremo pronti» ha detto alle telecamere dei Tg fuori Montecitorio. L’ultim’ora è arrivata dopo giorni di idee contrastanti. Anche il vicepresidente del gruppo alla Camera Michele Bordo ha detto a Radio uno: «Per governare serve una maggioranza forte con un progetto politico. Governo di scopo e larghe intese per il Pd non esistono. Se questa esperienza finisce il rischio del voto è oggettivo. Le elezioni sono improvvide in pandemia, ma senza maggioranza e progetto politico è evidente che l'alternativa è il voto». 

Il vice capogruppo al Senato, Franco Mirabelli, ha fatto eco, in pieno stile comunicativo Pd: «Il Pd non si presterà mai ad altre esperienze di governo confuse e pericolose. Per questo è chiaro che se il tentativo che stiamo facendo dovesse fallire il rischio pericoloso che l’Italia corre è quello del voto”.

I parlamentari di Italia viva

Nei giorni scorsi i parlamentari di Italia Viva malgrado l’aria convinta di Matteo Renzi hanno dimostrato di non gradire il raffreddamento con l’esecutivo, e hanno sottoscritto un documento in cui deputati e senatori «ribadiscono con forza la necessità, già espressa nel dibattito parlamentare, di una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell’Italia per i prossimi anni». E ancora «confermano che si muoveranno tutti insieme in modo compatto e coerente in un confronto privo di veti e pregiudizi, da effettuarsi sui contenuti nelle sedi preposte». Infine «ringraziano Teresa Bellanova, Elena Bonetti, Ivan Scalfarotto per la straordinaria dimostrazione di coraggio, libertà e spirito di squadra che hanno dato e stanno dando in questi giorni lottando per le idee e gli ideali non solo di Italia Viva».

La fiducia e il giorno dopo

Mentre si aspettavano i voti di fiducia a Conte, nel Pd, è circolata da subito l’ipotesi che in caso di fallimento i dem avrebbero preferito le urne a giugno, poi il segretario Nicola Zingaretti subito dopo la fiducia “relativa” ha detto soltanto: «Abbiamo evitato il salto nel buio», e le urne non sono state nominate. Ieri il senatore Francesco Verducci le aveva escluse: «In questo contesto, aver aperto una crisi di governo al buio è un atto grave e irresponsabile. Altrettanto grave e irresponsabile sarebbero precipitare il paese ad elezioni anticipate nel pieno della pandemia». Se non si raggiungessero i numeri e soprattutto il progetto politico però per il Pd le elezioni diverrebbero l’alternativa più concreta.

Centro destra spaccato

Così come il Pd, anche il centro destra è spaccato sulle varie ipotesi. Ieri Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani hanno rappresentato al presidente della Repubblica in una nota congiunta la «convinzione del centrodestra che con questo Parlamento sia impossibile lavorare» e la necessità di ribadire al capo dello Stato la «fiducia nella sua saggezza». Un concetto ribadito ai tg da Meloni, quella che più spinge per urne subito: «La nostra convinzione è che il problema non sia semplicemente il governo ma questo Parlamento, che non può risolvere i problemi della Nazione e che non può dare all'Italia una maggioranza compatta per fare le cose coraggiose delle quali c'è bisogno». Anche Salvini ieri sera a Porta a Porta non ha mancato di ricordare la linea. Ma non rappresentano tutta l’area politica. Il governatore della Liguria, Giovanni Toti, continua a sperare in un governo di centrodestra senza urne: «Se come sembra i numeri di questo Governo non stanno in piedi andare al voto sarebbe controproducente. Iniziamo a pensare a soluzioni alternative», ha detto ieri pomeriggio a Rai 1.

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