C’è un aspetto, nel contesto politico attuale, che non è stato ancora messo a fuoco, e che giustifica la preoccupazione di un pezzo di paese di fronte all’ascesa di Giorgia Meloni. Il governo di destra che ha vinto le elezioni guida infatti un sistema in cui da tempo – se non da un punto di vista formale, certamente da quello sostanziale – sono saltati gli equilibri tra i poteri dello stato. Bilanciamenti necessari a una democrazia solida per non piegare la sua forma verso regimi autocratici o, comunque, a libertà limitata.

In Italia non sono in crisi solo partiti, indeboliti da un populismo che appare ancora irriducibile, e corpi intermedi come i sindacati o i rappresentati degli interessi dei cittadini. Da lustri è in disarmo anche il potere del parlamento, scavalcato regolarmente dalla decretazione dell’esecutivo, fenomeno che ha gravemente indebolito la nostra principale istituzione.

Anche il terzo potere, quello giudiziario, non se la passa affatto bene. Dopo Tangentopoli i magistrati hanno goduto per un ventennio di un consenso e di un’autorità pressoché illimitata. La contrapposizione con la politica e gli eccessi della cultura giustizialista ha però provocato una reazione iper-garantista, altrettanto ideologica, che si è via via affermata come dominante, limitando l’azione delle procure e precipitando ai minimi la fiducia degli italiani verso la magistratura. I colpi di grazia sono arrivati dal caso Palamara, che ha disintegrato il Csm e spossato la procura di Roma, e dalla fine ingloriosa delle inchieste sull’Eni, che hanno indebolito il palazzo di giustizia milanese. Il quarto potere, quello dell’informazione intesa come “watchdog” dei comportamenti degli altri poteri, è messo ancora peggio. A causa di un declino di legittimazione della categoria e di media tradizionali che hanno perso parte della loro indipendenza e del loro peso.

Tra le macerie dell’imperfetto check and balance all’italiana, resta dunque in piedi solo il potere esecutivo. Una condizione che dovrebbe impensierire tout court i fautori di Montesquieu, ma allarma ancor di più quando si scorgono nelle istituzioni le sagome di ex missini o di capi leghisti che hanno recentemente teorizzato «i pieni poteri». Le preoccupazioni sono mitigate dai cosiddetti vincoli esterni della Ue e dalla presenza silenziosa del presidente della Repubblica, garante della Costituzione che – grazie all’autorevolezza di Sergio Mattarella – riesce ancora a svolgere la sua funzione di controllo e di sorveglianza. Non è un caso che Meloni consideri il Quirinale un lacciuolo insopportabile alla sua azione politica, e che abbia promesso ai suoi elettori una riforma in senso presidenzialista. In queste condizioni cadrebbe uno dei pochi baluardi rimasti, e un’orbanizzazione dell’Italia (intesa come modello di nuova democrazia illiberale) non sarebbe più così improbabile come sostengono gli ottimisti.

© Riproduzione riservata