Il presidente attacca «il circo equestre» di Roma: «Campania oggetto di scambio politico». Minaccia un tour per convincere tutta Italia. Dem in silenzio, ma c’è chi tratta per sfilargli i suoi
Il film del terzo mandato in Campania è ai titoli di coda. Giovedì sera il governo, fingendo di spaccarsi, ha deciso di impugnare alla Consulta la legge regionale che autorizza il presidente Vincenzo De Luca alla terza corsa. Il Pd ha tirato un gran sospiro di sollievo, e la segretaria Elly Schlein non vede l’ora di poter dire che l’impuntatura del “viceré”, oltre a essere contraria alla linea del partito, è anche contro la legge.
Nella maggioranza c’è chi recita: Matteo Salvini fa la parte di quello che difende strenuamente il doge del Veneto, Luca Zaia, ma in realtà a sua volta non vede l’ora che quello sappia di non poter correre ancora per la regione, per colpa di FdI. Il leader leghista punta a scambiare l’atto di sottomissione a Meloni con l’assicurazione che il prossimo candidato di quella regione sarà ancora leghista, stavolta però uno dei suoi fedelissimi.
Ad De Lucam
De Luca se ne frega del «circo equestre» di Roma. Accende i social e tuona: «Io vado avanti». Venerdì mattina a Napoli ha convocato la stampa e i suoi fedelissimi, e si è presentato con una coreografia per l’occasione: due pannelli blu, da una parte la scritta in cubitali «non abbiate paura degli elettori», dall’altra «la legge (non) è uguale per tutti».
Alla vigilia, qualcuno aveva soffiato ai retroscenisti che si sarebbe dimesso prima del giudizio della Corte per potersi comunque ricandidare. «Non lo conoscono», ridono i suoi. «I suoi assessori e i suoi consiglieri non gli consentirebbero le dimissioni», sghignazzano gli altri.
De Luca strappa con il Pd, per una volta ancora. Da destra, da Roma a Napoli, gli chiedono di «togliere il disturbo» e di prendere atto che anche il Pd lo ha scaricato. Lui risponde annunciando che andrà in giro per l’Italia a organizzare «una battaglia civile e democratica». Nel Pd c’è chi sospetta che voglia varare un partitino meridionalista e centrista. Ancora una volta i suoi smentiscono.
«Non è all’ordine del giorno», il tour per il paese servirà a gridare ai quattro venti le cose che venerdì ha inviato all’indirizzo della «politica politicante», così chiama tutti quelli «di Roma», destra e sinistra, accomunati dall’indifferenza «per i problemi dei territori» e dal fatto di trattare la Campania «come un oggetto di scambio politico». Il ricorso del governo è «ad De Lucam», «dobbiamo chiederci se in Italia c’è lo stato di diritto».
Perché in Veneto «Zaia sta esercitando il terzo mandato da quattro anni senza che nessuno abbia detto nulla»; e lo stesso in Piemonte e nelle Marche. Dunque a palazzo Chigi «hanno paura degli elettori e forse anche di De Luca», «io vi dico date ai cittadini la possibilità di scegliere da chi essere governati». Peraltro «non hanno il vincolo dei due mandati deputati, senatori, ministri», se la prende anche con Mattarella, «e nemmeno il presidente della Repubblica».
Il presidente e i riformisti
Nel Pd vige la consegna del silenzio per evitare di dare guazza alle polemiche: tanto la segretaria ha già comunicato ufficialmente che non lo ricandiderà in ogni caso. Il presidente lo sa bene, e se la prende, senza nominarlo, con Andrea Orlando: «Un esponente politico del Pd con cinque mandati da parlamentare e ministro in tre ministeri, Ambiente, Giustizia e Lavoro». E con Stefano Bonaccini: «Voglio chiarire che in Emilia-Romagna il presidente uscente non si poteva ricandidare» perché la legge regionale non lo prevede e dunque è «un’ipocrisia» trasmettere «l’idea che ha rinunciato con un atto di generosità».
Se l’attacco a Orlando è da copione, quello al presidente del partito invece è più velenoso: da sfidante di Schlein, Bonaccini ha vinto in Campania «con i voti di De Luca», viene riferito da Napoli; per di più il portavoce ufficiale della corrente di Bonaccini è Piero, suo figlio. Che si sta cimentando nella difficile parte del pontiere: rassicura il Nazareno, giura che in qualche maniera si farà, che la rottura definitiva si può ancora evitare. Anche alcuni fedelissimi di De Luca provano a trattare.
I fini esegeti
E in effetti se l’annuncio di venerdì a prima vista suonava abrasivo anche contro il Pd, gli esegeti delle intemerate del presidente, cioè quelli che ne hanno sentite tante, segnalano che in fondo poteva fare peggio. Una volta si è spinto fino a sospettare di essere un agente straniero.
«L’onorevole Elena Schlein», ha spiegato, incarna «un’anomalia» perché «ha una tripla cittadinanza, italiana, americana, svizzera. Io credo che un leader nazionale debba garantire ai cittadini italiani che le posizioni che assume non siano influenzate da fattori estranei agli interessi nazionali». Invece stavolta si è tenuto: se l’è presa solo con Orlando e Bonaccini. Segno che una trattativa con il Pd sarebbe ancora possibile.
Il tempo stringe. Il 28 febbraio scade il commissariamento del Pd in Campania affidato al senatore Antonio Misiani. Il Nazareno sta tentando la strada di provare a fare eleggere un segretario regionale di area riformista, per isolare De Luca, che formalmente è ancora un iscritto.
Ma c’è chi dice no: il rischio è che al momento della stretta delle candidature, quello se ne vada con il presidente, che comunque ha intenzione di candidarsi, e gli porti in dote mezzo partito. Meglio confermare il commissariamento. Intanto bisogna aspettare il responso della Consulta. Dove De Luca difenderà la sua legge dall’impugnativa. È ottimista: «Abbiamo la sensazione che finirà come con la legge sull’autonomia, che è stata smantellata».
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