Come se fosse un decreto Decrescita. Dalla serata di giovedì il calcio italiano è entrato in uno psicodramma di fine anno. La speranza di veder estesi fino a febbraio 2024 (cioè con effetti sulla prossima finestra invernale di calciomercato) gli effetti del decreto Crescita è stata incenerita dalla decisione del governo di espungere la relativa norma dal Milleproroghe. Fine dello stato di eccezione che aveva fatto in tempo a diventare norma.

Si trattava infatti di una misura legislativa messa in atto nel 2019 per essere temporanea, e che invece nel prossimo mese di aprile avrebbe tagliato il traguardo dei sei anni. A questa norma i nostri club calcistici si sono appigliati per fare la cosa che meglio riesce loro: spendere, specie sul mercato estero.

Grazie alla disciplina sui cosiddetti “impatriati” è stato possibile garantire stipendi più elevati ai calciatori provenienti da federazione estera perché tassati con aliquota inferiore (25 per cento anziché 45 per cento) durante le prime due stagioni di permanenza in Italia.

Stando ai dati forniti in una recente seduta della commissione Finanze della Camera, durante il quinquennio in cui è stata in atto la misura è stata applicata su un monte complessivo di salari che si approssima ai 2,5 miliardi di euro, con mancato incasso per lo stato di circa 674 milioni di euro. Che il nostro sistema-paese ne abbia beneficiato è tutto da discutere.

Di sicuro al competitività internazionale dei club italiani non se n’è giovata più di tanto, dato che in questo lasso di tempo è giunta soltanto una Conference League. Eppure adesso è tutto un coro di strepiti contro la misura che saboterebbe proprio la competitività internazionale, ma anche i vivai nostrani. La partita viene data come chiusa, eppure qualche non trascurabile segnale lascia pensare dei tentativi verranno ancora effettuati.

Messaggio al parlamento

Il segnale cui si fa riferimento è contenuto nel passaggio finale della nota pubblicata dal sito della Lega di Serie A nella serata di giovedì, cioè subito dopo che si era diffusa la notizia dello stop. Quel passaggio recita: «La Serie A auspica che il parlamento possa correggere questo errore che danneggia non solo il calcio italiano, ma tutto lo sport e il suo notevole indotto».

Praticamente una chiamata d’urgenza indirizzata alla lobby pro-calcio, trasversalmente distribuita nelle aule parlamentari. Quanto l’appello abbia possibilità di essere accolto è cosa difficile da dire. L’ipotesi è improbabile, ma dopo le pantomime su aggiornamento del Mes e bonus facciate, mai dire mai. Anzi, una retromarcia che confermi i privilegi del calcio sarebbe il degno coronamento di fine anno per il governo colpito da otoliti.

La sconfitta di Lotito

Per il momento ci si limita a registrare la sollecitazione inviata dalla cosiddetta Confindustria del calcio italiano, presieduta da Lorenzo Casini. Anche per molti presidenti di club si tratta solo di un alter ego di Claudio Lotito, presidente e patron della Lazio nonché senatore eletto nelle liste di Forza Italia.

Per Lotito lo stop al regime fiscale privilegiato è la prima, grande sconfitta da quando è entrato nel mondo del calcio. Fin qui si era rivelato un maestro nel trovare escamotage in ogni piega di codici e normative, e da parlamentare si è intestato la battaglia per il decreto Salva calcio che ha alimentato le polemiche esattamente un anno fa. Stavolta gli è andata male (colpi di scena permettendo), dunque non gli rimane che commentare stizzito la decisione del governo.

Lo fa lanciando una recriminazione che intende stigmatizzare il presunto danno fiscale per le casse dello stato. Secondo questa linea di pensiero, la mancata conferma del decreto Crescita allontana dal nostro paese molti calciatori ricchi, ergo contribuenti facoltosi. Una teoria discutibile, specie se si guarda al mancato incasso fiscale quantificato in commissione Finanze con riferimento al periodo in cui il decreto è stato in vigore.

Fra l’altro, dato che si parla di incassi fiscali, forse il presidente della Lazio dovrebbe preoccuparsi maggiormente dei riti di perdono fiscale (124 milioni di euro di mancato incasso) come quelli andati in scena negli scorsi mesi a Genova, di cui Domani ha riferito.

Quanto all’impatto che lo stop avrà sulla competitività tecnica del nostro calcio, presto detto: certamente arriverà qualche calciatore valido in meno dall’estero, ma ancor più sicuro è che rimarrà fuori dalla frontiera una bella schiera di bidoni. Nessuno ne sentirà la mancanza.

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