La carica degli emendatori. In quella palude che il parlamento diventa quando si tratta di rimaneggiare il Decreto Milleproroghe, il calcio si fa sempre più specchio del paese e prova a ripristinare i privilegi che dalla prima versione del testo sono stati eliminati.

Gli emendamenti per mettere a segno il colpo di mano sono pronti e nel suk dell’aula, segnato dalla presenza di una fortissima lobby pro calcio, potrebbero passare a dispetto dell’atteggiamento fortemente contrario dell’opinione pubblica.

E così un governo che si appresta a vendere quote dei gioielli di Stato, etichettando l’operazione come “piano di privatizzazione”, potrebbe finire per ingoiare l’ennesimo privilegio concesso alla Repubblica Indipendente del Pallone. Facendo anche i conti con clamorosi cambiamenti di posizione, come quello del ministro dello Sport, Andrea Abodi, che fino a qualche tempo fa era contrario alla proroga ma adesso si è ricreduto.

Lasciateci spendere

La questione è nota: il Decreto Crescita del 2019 è stato usato dalle società del calcio professionistico per alleggerire la tassazione sugli stipendi riconosciuti ai calciatori provenienti da federazione estera. Un bell’aiuto di Stato che per i sostenitori di questa misura aiuta la competitività internazionale dei nostri club, ma a scapito delle casse pubbliche.

Il governo nazionale, negli ultimi giorni dell’anno, ha deciso che dopo cinque anni dall’entrata in vigore (durante i quali lo spazio per i calciatori italiani si è drasticamente ridotto, come testimoniato da uno studio dell’Associazione Italiana Calciatori) poteva anche bastare e ha detto stop, escludendone la conferma nel Decreto Milleproroghe.

Ne è seguito un piagnisteo generalizzato da parte del mondo del calcio, che alle porte del calciomercato invernale si è visto restringere la leva della spesa su estero (vera passione di presidenti e dirigenti, al di là del valore dei calciatori “impatriati”).

A orchestrare il piagnisteo è stato il presidente della Lega di Serie A, Lorenzo Casini, che nelle ore immediatamente successive allo stop dettato dal governo ha suonato la campana della mobilitazione, con un appello generico al Parlamento come arena in cui potesse compiersi una marcia indietro.

Detto, fatto. Emendamenti inseriti per far sì che le società calcistiche continuino a spendere sul mercato estero, promettendo ai calciatori una tassazione molto generosa (circa 25 per cento anziché 45 per cento) su ingaggi milionari.

Gli emendamenti

Di proposte di emendamento ne è stata presentata più di una. Con tarature diverse in termini di durata. L’impressione è che sia stato costruito lo scarto fra un minimo e un (esagerato) massimo per far finta di accontentarsi di una soluzione intermedia. Il minimo è contenuto nei due emendamenti quasi-fotocopia presentati da Noi con l’Italia a firma di Maurizio Lupi e Francesco Saverio Romano.

L’incidenza di questi emendamenti sarebbe ridotta, poiché ripristinerebbe i privilegi del calcio soltanto fino al 1° luglio 2024, quindi senza impatto sulla finestra estiva del calciomercato. E a quel punto vi sarebbe da capire se gli eventuali e ripristinati benefici possano essere fatti valere retroattivamente, dunque con proiezione sull’attuale sessione invernale di calciomercato. A ogni modo, i due emendamenti differiscono soltanto nelle misure di social washing che propongono per rendere presentabile all’opinione pubblica la ricostituzione di un privilegio per le società di calcio.

Nella prima versione si propone infatti che le società di calcio destinino il 10 per cento della cifra risparmiata «ai propri vivai e settori giovanili o di società dilettantistiche giovanili». Ma poiché deve esser parso troppo sfacciato che le società girassero a sé stesse il risparmio, ecco che il duo Lupi-Romano si è inventato una versione più caritatevole della medesima misura.

Sicché nel secondo emendamento il 10 per cento andrebbe destinato «a società sportive dilettantistiche o associazioni sportive dilettantistiche che operano nel comune di riferimento in quartieri caratterizzati da particolari situazioni di degrado sociale o di povertà educativa o che promuovono integrazione e inclusione sociale».

Ben più sbrigativo l’emendamento di Forza Italia, dettato da Claudio Lotito ma firmato dai deputati Annarita Patriarca e Roberto Pella. In questo testo ci si limita a spostare la data della soppressione dei benefici al 31 dicembre 2028. Praticamente altri 5 anni.

Che significa sparare grosso per ottenere almeno un paio di annate di proroga. Magari tenendo l’atteggiamento di chi rinuncia a qualcosa e mostra pure umore piccato perché è già stata bruciata la sessione di calciomercato attuale. Maschere in commedia. Di una recita pagata dagli italiani.

© Riproduzione riservata