La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, dopo due ore e mezza di camera di consiglio, ha deciso per la radiazione di Luca Palamara. Il magistrato era accusato di aver agito per condizionare il Csm nell'esercizio delle sue funzioni costituzionali e di aver tenuto comportamenti scorretti nei confronti dei colleghi.

L’udienza dell’8 ottobre

«Radiazione dall’ordine giudiziario». È stata questa la richiesta della procura generale di Cassazione per il magistrato Luca Palamara durante il procedimento disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura. Giovedì 8 ottobre si è svolta l’udienza conclusiva: l’accusa e la difesa hanno presentato le loro conclusioni davanti alla sezione disciplinare, chiamata a decidere nella tarda serata di giovedì. A

l centro del procedimento c’è l’incontro avvenuto all’hotel Champagne di Roma nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, a cui presero parte l’allora leader di Unicost, Luca Palamara, i deputati di Italia viva Luca Lotti e Cosimo Ferri, a sua volta capocorrente di Magistratura indipendente, e i togati del Csm Corrado Cardoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Luigi Spina. In quel dopocena – le cui intercettazioni sono finite negli atti dell’inchiesta per corruzione a carico di Palamara condotta dalla procura di Perugia – gli invitati discutono della nomina del nuovo procuratore capo di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone.

L’accusa

Nelle sue conclusioni la procura generale della Cassazione traccia un quadro preciso. Smentisce le tesi «giornalistiche» di una «volontà persecutoria individualizzata» nei confronti di Palamara, vista sia la velocità del procedimento che la mancata riunione con gli altri incolpati.

Il vice procuratore generale Pietro Gaeta ha ricostruito la cronologia e spiegato che «il procedimento aveva un quadro di tale gravità indiziaria, assistita da riscontri che consentivano l’esercizio immediato dell’azione».

Inoltre, la procura ha spiegato la richiesta di stralcio della lista dei 133 testimoni presentati dalla difesa: «L’episodio contestato si fonda solo sulle intercettazioni, dunque solo questo è il tema probatorio. Tutto il resto esorbitava questo giudizio».

Secondo l’accusa - che contesta a Palamara la «denigrazione» di alcuni colleghi e il tentativo di condizionare il Csm nell’esercizio delle sue funzioni di nomina dei capi degli uffici -, i fatti avvenuti all’hotel Champagne sono un «unicum».

Gaeta ricostruisce così il dopocena: Lotti «esprimeva la sua indicazione per l’ufficio giudiziario che lo aveva imputato» nonostante fosse sotto giudizio nel processo Consip, Palamara puntava al ruolo di aggiunto alla procura di Roma e «promuove l’incontro, esprimendo indicazioni sui dirigenti, in doppia veste interessata» mentre Ferri voleva essere considerato il «king maker» delle decisioni più rilevanti del Csm.

Invece i cinque consiglieri superiori erano il gruppo stabilmente cooptato da Palamara ed erano portavoci di queste «istanze provenienti da sedi improprie» e fuori dalla legalità o da un fisiologico rapporto tra politica e magistratura. Il gruppo voleva organizzare una «catena di nomine»: il procuratore capo di Roma doveva essere Viola in logica di discontinuità rispetto a Pignatone; da questa nomina dipendeva la scelta di due nuovi aggiunti di cui uno avrebbe dovuto essere Palamara; l’ultimo anello era l’elezione a procuratore di Perugia.

«È tutto nelle intercettazioni, non serve altro», conclude la procura generale, secondo cui il comportamento non può essere ricollegato alla spartizione correntizia delle nomine «ma al sovvertimento dello stato di diritto. Altro che porto delle nebbie, è il porto delle tenebre della legalità», ha concluso il sostituto pg Simone Perelli, chiedendo la pena massima della radiazione.

La difesa

«Palamara aveva titolo per interloquire delle nomine coi consiglieri del Csm, perché unanimemente considerato leader della sua corrente. Che poi le modalità siano state deficitarie sul piano dell’opportunità e dell’etica, esula dal giudizio disciplinare» e «nessuna intercettazione getta discredito sull'attività professionale dei colleghi Ielo e Creazzo» è la linea del difensore Stefano Giaime Guizzi.

La tesi è che le scelte sulle nomine della quinta commissione del Csm non si limitino a una valutazione di merito e di professionalità, ma riguardino nella prassi altre valutazioni legate alla collocazione culturale dei singoli candidati agli uffici giudiziari. «Proprio a spiegare questa prassi servivano le prove testimoniali presentate e stralciate», ha spiegato Guizzi, secondo il quale «non si può pensare che ai consiglieri superiori fosse preclusa l’interlocuzione con Ferri e Palamara, che erano riconosciuti come capicorrente». Dunque, se i consiglieri erano liberi di parlare con chiunque, eventuali responsabilità in capo ai presenti all’hotel sarebbero «politiche e non disciplinari» e non si potrebbe configurare alcun illecito a carico di Palamara.

«Emerge un grave profilo di inopportunità, ma questo non è oggetto di giudizio», dice Guizzi. Quanto alla presenza di Lotti, la difesa ha smentito la ricostruzione che lui fosse «codecisore» della nomina di Viola o che fosse informato di tutto, ma che la sua presenza all’incontro fosse casuale.

Inoltre, «Al dopocena ci fu solo la prospettazione di uno scenario possibile, ma che non vi fosse un accordo stabilizzato lo dimostrano i voti in Consiglio e le intercettazioni successive». Per questo, la richiesta della difesa è opposta a quella dell’accusa: proscioglimento. Altrimenti «sospensione per due anni» con riserva di rivalutazione al termine del procedimento penale a Perugia.L’udienza, iniziata ieri mattina alle 9.30, si è protratta fino a sera inoltrata.

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