Non ci fu diffamazione nel raccontare che l’ex vice ministra renziana Teresa Bellanova, in passato sindacalista, non aveva messo in regola Maurizio Pascali, dipendente a partita Iva che prestava lavoro continuativo per lei e per il Pd.

Lo ha stabilito il giudice del Tribunale di Lecce, Michele Guarini, che ha assolto dall’accusa di diffamazione i giornalisti Danilo Lupo, Mary Tota, e Francesca Pizzolante e l’addetto stampa Pascali.

Il racconto

I tre giornalisti nel 2014 avevano raccontato la vicenda sulle rispettive testate televisiva, online e cartacea; l’accusa aveva chiesto la condanna a sei mesi per i giornalisti e un anno per l’addetto stampa. Il Tribunale di Lecce ha invece deciso che «il fatto non sussiste» si legge in un comunicato.

Murizio Pascali aveva lavorato per il Pd e per Teresa Bellanova per tre giorni a settimana dal 2010 al 2013, e all’occorrenza pure nel fine settimana. Per tre anni e tre mesi, aveva spiegato nel ricorso, scriveva i comunicati stampa, poi i disegni di legge e le relazioni correlate. Era a disposizione in occasione di assemblee, incontri, convegni organizzati in città e in provincia, il tutto sotto il coordinamento dell’ex deputato Salvatore Capone e di Bellanova, mantenendo anche contatti con la segretaria personale dell’ex viceministra, cui spediva il materiale elaborato e comunicati stampa che venivano diramati tramite la mail della parlamentare.

Dopo essere sbarcato sui media, il caso ha preso la strada dei tribunali: da un lato Pascali ha citato in giudizio davanti al giudice del lavoro l'esponente politica, oggi presidente di Italia Viva, per ottenere il giusto inquadramento contrattuale e la conseguente retribuzione per il periodo in cui aveva lavorato come partita Iva.

Dall'altro lato Bellanova ha querelato l'ex addetto stampa e i tre giornalisti per diffamazione aggravata. In entrambe le sedi, civile e penale, l'ex ministra ha avuto torto. Così sia il Pd sia Bellanova sono stati condannati a risarcire Pascali con circa 50mila euro. L'ex ministra ha già versato la sua parte, quantificata in poco più di 6.900 euro, ma ha annunciato ricorso in Cassazione.

La libertà di stampa

Nella causa penale il Tribunale ha stabilito ieri che la querela di Bellanova è infondata e la diffamazione non sussiste. Gli avvocati hanno rilevato che la richiesta di condanna a una pena detentiva era contraria a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, che ha escluso la possibilità di poter comminare il carcere ai giornalisti.

«È una sentenza che consacra puntualmente la libertà di esercitare, correttamente, il diritto di cronaca», ha commentato l’avvocato Roberto Eustachio Sisto. L’insussistenza delle accuse «consentirà loro di continuare a svolgere con ritrovata serenità e con la nota tenacia, il mestiere, difficile quanto esaltante, di cronista. Alla soddisfazione per il risultato giudiziario, si accompagna così la rassicurante ratifica della intangibilità dei “fondamentali” scolpiti nell’art. 21 della Carta costituzionale», il principio della libertà di pensiero e di stampa.

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