Arrivano nell’aula di Montecitorio le mozioni sul riconoscimento dello stato di Palestina. La premier si era genericamente detta a favore della formula “due stati”, che il parlamento europeo e italiano hanno del resto già approvato (rispettivamente nel 2014 e nel 2015), ma ha aggiunto che «il presupposto è il riconoscimento degli interlocutori di Israele e del diritto degli israeliani a vivere in sicurezza».

E sembra già chiaro che la Camera non riuscirà a votare in maniera bipartisan. Era questo l’intento con cui Pd ha chiesto che la questione si affrontasse in aula. Lo ha spiegato l’ex ministro Enzo Amendola, uno dei pochi intervenuti nel dibattito generale, lunedì in tarda mattinata: «Crediamo che il parlamento debba avere una voce, speriamo unitaria, che dia man forte alla inizia diplomatica italiana e europea».

Il 7 ottobre è stato un «orrore che ha scioccato la comunità internazionale e che ancora oggi vede ancora più di 130 persone ostaggio dell’organizzazione terroristica Hamas. Ma dal 7 ottobre l’assedio totale di Gaza ha causato migliaia di vittime innocenti, soprattutto bambini», e la posizione dei ministri del Likud «che rivendicano l’annientamento dell’autonomia nazionale palestinese e la rioccupazione di quello che invece il premier Ariel Sharon liberò anni fa è un viatico che guardiamo con molta preoccupazione», «chiediamo alla maggioranza di ragionare non solo sul testo, ma sulla prospettiva del nostro Paese, in Europa, anche nella tradizione della politica estera italiana».

Lunedì sono state illustrate solo le tre mozioni fin qui depositate: quella di M5s (Ascari: «A Gaza oggi succede un inferno, una carneficina, il 7 ottobre è stata la vergogna di Hamas ma quello che succede a Gaza è la vergogna di tutti noi»), e di Azione (Grippo: «La nostra mozione vuole legittimare il governo nelle sue posizioni internazionali»).

La presenza di Hamas

L’unico rappresentante della maggioranza che ha preso la parola, Andrea Di Giuseppe di Fratelli d’Italia, ha fatto capire che aria tira a palazzo Chigi: chiedere un immediato cessate il fuoco, come fa il Pd («umanitario», ma Di Giuseppe lo omette con malizia), «testimonia carenza nella conoscenza del funzionamento dell’Onu»; su una conferenza di pace «siamo tutti d’accordo ma a impedirne la realizzazione è la presenza di Hamas».

Ma è la richiesta di non sospendere i finanziamenti all’Unrwa, l’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi, a essere irricevibile per la destra. Che intravede la possibilità di sferrare un colpo all’Onu, in piena linea Netanyahu.

Bisogna tenere in conto che alcuni dipendenti, dice Di Giuseppe con consecutio confusa, «a quanto pare, presero parte in qualche modo a quegli orrendi attacchi». «Se le Nazioni unite, tramite le proprie agenzie, hanno 30mila dipendenti palestinesi e non c’è una forza neutrale all’interno dell’area», questo priva «di ogni fondatezza e concretezza nella credibilità l’agenzia stessa».

Per il Pd replica Stefano Graziano: ripristinare i fondi «è importante perché dobbiamo dare la possibilità di operare agli operatori di pace, a quelli che possono dare concretamente una mano dal punto di vista umanitario».

Lo stop ai finanziamenti

Il governo dunque punta a rispedire al mittente le accuse di scarso europeismo. Il piatto è già servito: dopo la denuncia di 12 dipendenti dell’Unrwa coinvolti (presunti, per il momento) nell’attacco terroristico del 7 ottobre, Usa, Italia, Regno Unito, Canada, Australia, Finlandia e Germania, Austria e Romania hanno sospeso l’invio di finanziamenti.

Non la Spagna, che mantiene gli aiuti pur dichiarando che «seguirà da vicino l’indagine interna dell’Onu». Lunedì anche l’Unione europea ha fatto sapere che «gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania continueranno attraverso le organizzazioni partner» ma «attualmente non sono previsti ulteriori finanziamenti all’Unrwa fino alla fine di febbraio».

La Commissione deciderà «alla luce delle gravissime accuse in merito al coinvolgimento del personale dell’Unrwa negli efferati attacchi del 7 ottobre».

Il proseguo della discussione in aula è all’ordine del giorno mercoledì e giovedì, ma potrebbe slittare alla prossima settimana. Lo stop ai finanziamenti rischia di smantellare non solo la rete delle connivenze, ma la stessa agenzia. E di infliggere un altro colpo mortale alla traballante credibilità dell’Onu. Secondo un documento di intelligence pubblicato dal Wall Street Journal, il 10 per cento dei dipendenti Unrwa a Gaza ha legami con Hamas o con la Jihad islamica.

L’Unrwa, che attraverso i suoi programmi assicura la sopravvivenza alla gran parte dei palestinesi della Striscia, ha fatto sapere che se entro febbraio non arriveranno aiuti «sarà costretta a fermare le sue operazioni di sostegno». Le conseguenze sarebbero catastrofiche.

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