Da tempo sosteniamo che tra marzo e aprile 2020, i ricercatori italiani dell’Istituto Spallanzani hanno consegnato il coronavirus “vivo”, che erano riusciti ad isolare e mettere in coltura tra i primi al mondo, agli scienziati russi, che così hanno potuto sviluppare i due vaccini russi di stato - Sputnik V e EpiVacCorona. E adesso lo possiamo dimostrare, perché la redazione di Report, Rai 3, in esclusiva, è entrata in possesso del documento ufficiale, che noi abbiamo potuto visionare, il quale prova che questo passaggio di prezioso materiale virale tra i due istituti è effettivamente avvenuto, e in una maniera molto sospetta.

In questo documento, che è il Material Transfer Agreement sottoscritto dai dirigenti russi dell’istituto Vector, che hanno ricevuto il vaccino, e da quelli italiani dell’Istituto Spallanzani, che gliel’hanno fornito, c’è scritto che gli scienziati russi potevano utilizzare il virus italiano per «sviluppare mezzi per la diagnosi, la prevenzione, e il trattamento del Covid-19», ovvero farmaci e vaccini, al fine di “migliorare la sorveglianza e la risposta contro il Covid-19 nella Federazione Russa”. Insomma, i russi hanno utilizzato il virus dello Spallanzani per combattere la pandemia nel loro paese. E noi cosa abbiamo ottenuto in cambio? Nulla.

Report racconterà la storia dell’MTA stasera, su Rai3. Ma cos’è un MTA?

Cosa dice l’accordo

Un Material Transfer Agreement, o MTA, ovvero “Accordo sul Trasferimento di Materiale”, è un contratto firmato dalle due parti ogni volta che un ente pubblico – come un laboratorio universitario- o privato - come una casa farmaceutica- richiede un materiale biologico da qualcuno che ne sia in possesso.

Se un materiale biologico viene richiesto da una università per ricerche non a scopo di lucro, allora deve pagare una cifra irrisoria, che copre giusto le spese di spedizione. Ma se viene richiesto da una casa farmaceutica che da quel prezioso materiale progetta di sviluppare un farmaco o un vaccino, allora deve mettere questo nero su bianco, e deve impegnarsi anche a versare royalties milionarie sulle vendite del futuro vaccino a chi quel materiale ha isolato.

Nell’MTA tra gli scienziati dello Spallanzani e quelli del Vector ci sono molte cose che non tornano.

aA febbraio 2020 noi dell’Istituto Spallanzani abbiamo isolato il coronavirus dai due famosi turisti cinesi in gita a Roma, e siamo riusciti a metterlo in coltura e poi a sequenziarlo», dice la dottoressa Maria Capobianchi, direttrice del laboratorio di virologia dell’istituto Spallanzani, «la sequenza dell’intero genoma è stata pubblicata sulla piattaforma di condivisione Gisaid, disponibile per tutto il mondo scientifico. Si chiama Inmi-1, e chiunque la può vedere e scaricare. L’isolato iniziale, sempre denominato Inmi-1, è stato messo da noi a disposizione della comunità scientifica internazionale tramite biorepository certificate di condivisione di ceppi, come EvaG. Su richiesta, con motivazione scientifica, è stato dato per studiarlo».

L’EvaG, che sta per European Viral Archive Global – cioè Archivio Virale Europeo Globale – è un’organizzazione non profit che gestisce un repository, una specie di biblioteca online che comprende tutti i virus del mondo isolati da laboratori scientifici sparsi nelle varie nazioni. Gli scienziati degli istituti pubblici o privati quando hanno bisogno di un virus in coltura – i primi per studiarlo, i secondi per sviluppare farmaci o vaccini - consultano EvaG, e lo richiedono a chi ne è in possesso, ma naturalmente prima devono sottoscrivere un MTA.

«Avete fornito il vostro prezioso virus anche ai russi?», ho chiesto alla dottoressa Capobianchi.

«Sì, al Vector, il centro di ricerca statale russo».

Vector e il business

Il Vector non è un istituto come tutti gli altri. Il Centro Nazionale di Indagini di Biologia e Biotecnologie Vector è l’istituto di ricerca biologica statale più grande di tutta la Russia. Si trova a Koltsovo, in Siberia. È stato fondato nel 1974, e faceva parte del sistema di laboratori sovietici per la guerra biologica denominato Biopreparat.

Nel 1990, con il crollo dell’URSS, il Vector è stato riconvertito, almeno sulla carta, in un istituto dove si dovrebbe fare ricerca pura. Oggi nei suoi laboratori di ricerca, adatti anche per i più alti livelli di rischio biologico, lavorano 4.500 ricercatori. In realtà, negli ultimi trent’anni gli scienziati del Vector non hanno pubblicato alcun studio degno di nota, perché nei suoi laboratori si fa pochissima ricerca di base, e invece si producono scoperte che abbiano un uso commerciale.

Gli scienziati del Vector hanno prodotto farmaci come il Ridostin, contro l’influenza, hanno sviluppato un vaccino contro l’epatite A e uno contro l’Ebola, che poi l’istituto ha messo sul commercio col marchio Vector. Insomma, il Vector è una vera e propria compagnia farmaceutica che per di più dipende dallo Stato, visto che è sotto il diretto controllo del “Rospotrebnadzor”, il Servizio Federale di Supervisione della Protezione e del Benessere del Consumatore, un ente governativo controllato direttamente dal Presidente Putin.

Il documento porta la data del 14 aprile 2020. A firmare per l’Istituto Spallanzani è il direttore scientifico Giuseppe Ippolito, per l’Istituto Vector il direttore dell’Istituto, il dottor Rinat Maksyutov, un uomo molto vicino al presidente Putin.

I problemi iniziano già nelle “condizioni preliminari”: c’è scritto che l’Istituto Vector “riceve il materiale originale (il virus) per «lo sviluppo e la sperimentazione dell’efficacia di mezzi per la diagnosi, la prevenzione, e il trattamento del COVID-19». In pratica, dal principio i russi affermano che utilizzeranno quel virus per sviluppare farmaci o vaccini contro il Covid.

E poi sta scritto: «Il materiale sarà utilizzato solo con lo scopo di condurre ricerche non commerciali o ricerche accademiche. Il materiale non può essere utilizzato per scopi commerciali». Ma poche righe prima sta scritto che i russi useranno il virus per produrre un farmaco o un vaccino, ovviamente da mettere in commercio. 

Tutto gratis

Un virus “vivo” in coltura è una vera e propria fabbrica che produce una gran quantità di RNA virale che può essere trasformato in DNA e poi inserito in un adenovirus modificato che contenga il gene spike del coronavirus per la produzione in massa di vaccini a vettore virale (come Astrazeneca o Sputnik).

Col virus vivo in coltura posso produrre vaccini a virus attenuato o inattivato. Infine, sul virus vivo in cultura posso verificare se il vaccino che sto sviluppando è efficace nell’inibire e uccidere il virus (il cosiddetto test di neutralizzazione).

«In ogni caso, ognuno di questi utilizzi ha chiaramente fini commerciali, perché sono essenziali per sviluppare un vaccino che poi metto in commercio», mi confida un virologo che lavora per una grande compagnia farmaceutica e che vuole restare anonimo.

«Normalmente, in questi casi l’azienda che utilizza il virus per sviluppare o testare un vaccino si impegna a versare royalties sullo sfruttamento commerciale del vaccino al laboratorio che gliel’ha fornito, e a donare o vendere sottoprezzo al paese in cui ha sede il laboratorio che ha fornito il virus una parte – in genere il 10 per cento – della produzione totale del vaccino per un certo numero di anni. E tutto questo va esplicitato sull’MTA», e mi mostra un accordo dove effettivamente queste condizioni sono messe nero su bianco.

Invece, nel MTA tra Vector e Spallanzani non c’è traccia di un accordo simile. C’è solo vagamente scritto che «qualora il ricevente volesse utilizzare questo materiale per fini commerciali dovrà negoziare i termini dell’accordo per la sua licenza» con lo Spallanzani.

Probabilmente l’istituto Vector ha usato il virus per sviluppare il suo vaccino contro il Covid, denominato EpivacCorona, e l’ha passato all’Istituto Gamaleya per sviluppare il suo vaccino Sputnik, ma non risulta che i russi ci abbiano versato royalties o regalato fiale. Era un gentile omaggio per il presidente Putin.

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