Le quattordici commissioni della Camera si sono riunite per eleggere l’ufficio di presidenza e l’esito è stato quello anticipato alla vigilia: 7 presidenti per Fratelli d’Italia; 4 per la Lega e 3 per Forza Italia.

Tutti e quattordici i presidenti sono uomini, dopo che già la questione della sottorappresentanza di genere era stata posta nella composizione del governo (5 su 24) e del sottogoverno (13 su 40).

Nella scelta dei presidenti, la scelta della leader della maggioranza, Giorgia Meloni, è stata quella di lasciare ai partiti alleati l’indicazione dei nomi. Se sul governo il vaglio della premier era stato selettivo, per le nomine parlamentari invece si è scelta la linea morbida.

La sfida di Forza Italia

A lanciare il segnale politico più forte è stata Forza Italia, che alla Camera ha presentato una lista di nomi tutti provenienti dall’area vicina a Licia Ronzulli. In particolare, è spiccata l’indicazione del deputato calabrese Giuseppe Mangialavori al vertice della delicata commissione Bilancio, che era stata reclamata anche dalla Lega. 

Proprio Mangialavori era stato bocciato da Meloni come sottosegretario alle Infrastrutture dopo che, pur non essendo indagato, il suo nome era finito sui giornali perché citato in due indagini per ‘ndrangheta. FI lo ha ripresentato e imposto come presidente di una commissione di peso, in una sorta di implicito risarcimento rispetto a un veto considerato ingiusto. Il segnale politico a Meloni è chiaro: in parlamento vale il principio dei numeri e la premier dovrà prestare attenzione alle sue mosse.

Altra commissione chiave lasciata a FI è la Affari costituzionali, dove è stato eletto Nazario Pagano, mentre alla Affari sociali è andato Ugo Cappellacci. Il partito di Silvio Berlusconi ha avuto una commissione in meno rispetto alla Lega, ma ha ottenuto quelle di maggior peso e nessun ostacolo sui nomi scelti.

Il leader azzurro avrebbe seguito due direttrici nell’individuare i nomi: tutti considerati vicini alla capogruppo al Senato, che si conferma il riferimento della maggioranza dei parlamentari; tutti delle regioni meridionali, che nelle scorse settimane avevano lamentato l’esclusione da posti di governo nonostante il buon risultato elettorale. Con questo meccanismo, il tentativo è quello di riportare la pace tra le anime del partito sempre più in tensione.

La vittoria di Osnato

In Fratelli d’Italia la nomina dei presidenti di commissione ha segnato una prima rottura del fronte compatto del partito di Meloni. La causa è stata la nomina al vertice della commissione Finanze - la più importante perchè da essa passano tutti i provvedimenti di natura economica – di Marco Osnato.

Già anticipata alla vigilia e frutto di un blitz del presidente del Senato, Ignazio La Russa (zio della moglie di Osnato) e dell’amico ed eurodeputato Carlo Fidanza, la scelta di Osnato ha provocato un polverone. La commissione, infatti, avrebbe dovuto andare all’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che invece è stato dirottato alla meno prestigiosa commissione Esteri. Invece, il colpo di mano di quello che una fonte di FdI ha cominciato a chiamare «il cerchio magico di Giorgia» ha scalzato dal ruolo sia al pretendente naturale che che all’altro nome possibile, quello del commercialista Andrea de Bertoldi.

Osnato, di professione imprenditore e una laurea in giurisprudenza, non ha potuto rivendicare titoli per ottenere la nomina e gli oppositori la considerano frutto della sponsorizzazione di alcuni maggiorenti interni del partito. Oltre a La Russa e Fidanza, il deputato vanta un’amicizia anche con il viceministro Galeazzo Bolognini: tutti provenienti dalla tradizione ex missina del nord Italia. Contro di loro si sono scatenate le ire della fazione opposta, che ha i natali nella sede romana di Colle Oppio, ma anche di Tremonti. Oltre al danno, infatti, l’ex ministro non ha tollerato la beffa di finire nella contesa e poi di perderla contro due nomi che considerava imparagonabili al suo. Tuttavia, la volontà di Meloni ha prevalso: Osnato alla Finanze e Tremonti agli Esteri. Per quanto riguarda gli altri posti, la commissione Giustizia è stata ottenuta da Ciro Maschio, la Cultura è andata a Federico Mollicone; la Ambiente a Mauro Rotelli; la Trasporti a Salvatore Deidda e la Lavoro a Walter Rizzetto.

La Lega

Meno problematico, invece, è stato il percorso della Lega. Il siciliano Nino Minardo ha ottenuto la commissione Difesa, a saldo del suo ruolo nell’operazione di Matteo Salvini di allargare il progetto leghista a livello nazionale. Alberto Gusmeroli è andato alla Attività produttive; Mirco Carloni alla Agricoltura e Alessandro Giglio Vigna alla Politiche Ue.

Anche dal mondo leghista, però, potrebbe arrivare una presa di posizione potenzialmente problematica. Salvini, infatti, sta valutando di collocare l’euroscettico Claudio Borghi al vertice della commissione Finanze. L’alternativa più gradita a FdI sarebbe l’ex ministro Massimo Garavaglia, ma dovrebbe valere la stessa regola del non intromettersi nelle scelte, come è stato con FI.

Domani ci sarà l’elezione dei dieci presidenti delle commissioni al Senato, già divise in 2 a FI (la Esteri per Stefania Craxi e la Lavori pubblici per Gianfranco Miccichè); 3 alla Lega (la Giustizia a Giulia Bongiorno, la Finanze a Borghi o Garavaglia e alla Cultura Roberto Marti) e 5 a FdI: Alberto Balboni per gli Affari Costituzionali; Nicola Calandrini per la Bilancio; Luca De Carlo per Industria e Agricoltura; Francesco Zaffini per la Sanità; Giulio Maria Terzi di Sant’Agata per la Politiche europee.

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