Smaltita la gioia per la vittoria nelle Marche – dirompente per Fratelli d’Italia, primo partito, grande per Forza Italia, arrivata seconda, e tiepida per la Lega che ha perso più di 14 punti – è già tempo di guardare oltre.

Questo fine settimana si vota in Calabria e i leader del centrodestra sono volati a Lamezia Terme in vista di un evento a sostegno del candidato azzurro e presidente uscente, Roberto Occhiuto. Non solo, adesso ci sono da individuare, in fretta, i tre candidati da schierare in Puglia, Campania e soprattutto Veneto, dove si vota il 23 e 24 novembre.

Il successo in Calabria è dato quasi per certo. E permetterebbe al centrodestra di andare sul 2-0 contro il campo largo di Elly Schelin. Giorgia Meloni e la segretaria del Pd si sono incrociate in aereo, mentre andavano in Calabria, ma da quello che è stato possibile ricostruire, hanno discusso soprattutto della delicata situazione della Flotilla.

Poco dopo la premier è salita sul palco di Lamezia Terme, preceduta da Antonio Tajani e Matteo Salvini, che non ha perso occasione di rivendicare la realizzazione del Ponte sullo Stretto «contro mafia e ‘ndrangheta». Meloni, invece, ha ricordato la ex presidente calabrese Jole Santelli e promesso che «arriveremo a essere il terzo governo per longevità nella storia. Solo noi possiamo dare stabilità».

Quindi ha rilanciato le riforme del premierato, autonomia e giustizia. «Non c'è politico, burocrate, giudice che può impedirmi di fare quello che gli italiani hanno chiesto: fermare l’immigrazione illegale», ha tuonato la leader di FdI, che ha anche attaccato le opposizioni sulla Palestina. Un intervento già sentito, che tuttavia ha acceso la piazza.

I rapporti interni

Il vero nodo, tuttavia, è stato affrontato lontano dal palco e sono i nomi ancora mancanti dei candidati per le altre regionali. I leader si sono incontrati in separata sede e – anche se nessun vertice ufficiale è stato convocato – le investiture, secondo fonti leghiste, dovrebbero avvenire entro la settimana.

Puglia e Campania incidono poco. Sono date per perse e il centrodestra, anche per questo, sta ragionando su due nomi civici: il prefetto Michele Di Bari, di area FdI, in Campania e l’ex presidente della Fiera del Levante, Gigi Lobuono, vicino a FI, in Puglia.

La vera contesa, però, riguarda il Nord. La vittoria di FdI nelle Marche dovrebbe far sì che il Veneto rimanga alla Lega e il candidato in pectore è il vicesegretario del partito, Alberto Stefani. Il nome non fa impazzire i meloniani veneti, che a lui avrebbero preferito la vice di Luca Zaia, Elisa De Berti. Tuttavia, Meloni punta a giocare una partita più ampia: accontentare la Lega oggi con il Veneto, in cambio della Lombardia domani per i suoi. Servono però assicurazioni precise. C’è chi, tra i meloniani, parla addirittura di un accordo scritto in cui Matteo Salvini si impegni a non accampare pretese sul Pirellone nel 2028.

Un patto tra gentiluomini non basterebbe, «viste anche le dichiarazioni dei leghisti nelle ultime settimane», spiega una fonte di FdI, riferendosi alle molte interviste di esponenti di primo piano come il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo.

I leghisti lombardi, infatti, starebbero già ragionando del dopo Attilio Fontana con un nome di peso come quello del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Proprio questo vuole essere scongiurato. «Patti chiari amicizia lunga», riassume un dirigente lombardo di FdI.

Del resto, il risultato nelle Marche è stato proprio quello sperato. FdI veleggiante intorno al 28 per cento, la Lega più che dimezzata in cinque anni e addirittura scavalcata dagli azzurri. Un risultato, questo, che dimostra plasticamente come occorra «un riequilibrio alla guida delle regioni». Inaccettabile che il primo partito italiano governi solo in tre regione e nemmeno in una grande regione del nord.

Il caos veneto

Anche in vista di questo, i risultati in Veneto di fine novembre saranno determinanti. Ormai tramontata l’ipotesi di una lista personale di Luca Zaia, su cui ha posto il veto in particolare Forza Italia, la Lega è decisa a candidare il presidente uscente come capolista. Un candidato di bandiera, utile a trascinare la lista leghista dove da sola non potrebbe arrivare, in attesa di prendere il posto di Stefani in parlamento oppure di candidarsi a sindaco di Venezia. A Salvini, infatti, serve un risultato d’impatto per non finire con un presidente leghista sotto tutela dell’ondata di eletti meloniani.

In questo quadro si inserisce anche Forza Italia, che in Veneto – ultima intuizione politica di Silvio Berlusconi – ha reclutato l’ex leghista Flavio Tosi come coordinatore regionale, il quale ha fatto campagna acquisti tra le file del suo ex partito. Tajani ha scelto una strategia molto diversa da quella di Salvini: nessun antagonismo con la premier ma corsa ai voti moderati di centro (basti vedere l’astensione in Consiglio comunale a Milano, che ha permesso al sindaco Beppe Sala di approvare la vendita di San Siro), e accenti polemici solo contro la Lega (extraprofitti alle banche e rottamazione delle cartelle esattoriali i due punti più critici).

Un approccio, questo, che ha silenziosamente pagato. Gli azzurri stanno registrato una lieve ma costante crescita: nelle Marche come alle Europee hanno superato la Lega, seppur di poco. E la richiesta di Tajani è già arrivata: gli azzurri vogliono esprimere «il candidato sindaco di Verona». Guarda caso, proprio la città che Tosi ha governato per dieci anni.

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