In attesa di conoscerne gli esiti politici, uno dei portati di queste elezioni, e in particolare della campagna elettorale, è la definitiva fine della stagione dello spot elettorale, almeno nella forma più popolare e diffusa: un messaggio audiovisivo di pochi secondi, inserito a pagamento a fianco delle pubblicità dei prodotti commerciali. Quei brevi messaggi di 20 o, al massimo, 40 secondi rompevano steccati formali e di contenuto, scardinavano quella lingua della politica a lungo alimentata da un vocabolario specifico e da una costruzione del discorso articolata e complessa, riducendola a slogan.

Lo spot politico, da anni diffuso e popolare in altre nazioni prima fra tutte gli Stati Uniti, è arrivato in Italia alla fine degli anni Settanta quale diretta conseguenza della rapida diffusione di una miriade di emittenti locali private piccole e meno piccole.

In occasione delle doppie elezioni, politiche ed europee, del 1979 e di alcune elezioni amministrative dei primissimi anni Ottanta lo spot politico, in una forma ancora molto basilare, è stato utilizzato da qualche candidato attratto dalla possibilità di comunicare direttamente con gli elettori tramite lo schermo televisivo, in un modo sostanzialmente economico e, soprattutto, replicabile senza limiti, se non quello del budget.

Il 1983

Sono state le elezioni politiche del 1983 a segnare il passaggio dello spot sulla scena nazionale. La rapidità con cui matura la crisi di governo, ancora maggiore rispetto a quella di quest’anno, trova i partiti impreparati alla campagna elettorale e lo spot si rivela pertanto uno strumento rapido e efficace. Tutti i principali partiti commissionano una campagna nazionale.

Ognuno secondo il proprio stile e la propria cultura. Il Psi punta sulla figura di Bettino Craxi che, seduto a una scrivania con alle spalle la bandiera del partito e quella italiana, parla ai telespettatori di inflazione, disoccupazione, lavoro. La Dc si rivolge senza tentennamenti alla pubblicità commerciale e realizza una serie di brevi spot basati su situazioni di tensione o crisi (una corda che si spezza, un uovo che cade) risolte all’ultimo minuto  e  l’invito finale “Decidi Dc”. Il Pci guarda al cinema per realizzare una serie di mini-fiction con attori, figuranti, copioni. Il Psdi usca il cartone animato di Gigi il Gatto.

Gli anni Ottanta sono il periodo d’oro dello spot politico, che rientra in un contesto nel quale oltre allo spot commerciale si diffondono altre forme espressive brevi, basate sull’intreccio e la contaminazione di parole, immagini, suoni, estetiche, quali i video musicali, i trailer, i promo. Nel 1987 la campagna e gli spot della Dc “forza Italia, fai vincere le cose che contano” sono firmati dall’agenzia RSCG, la stessa che realizza gli spot del Mulino Bianco e dell’Amaro Ramazzotti.

Quelli del Psi, con Craxi intervistato da Minoli e la Foschini, in un parco o al bancone di un supermercato, dall’agenzia Armando Testa. Quelli del Pci, con lo slogan “C’è un’altra possibilità”, sono firmati dalla Reggio Del Bravo.

Gli anni Novanta

Nel decennio ’90, dopo l’exploit di Silvio Berlusconi che nel 1994 ha saturato dalla scrivania le sue reti televisive, l’uso dello spot politico è stato limitato da diversi decreti legge a lungo reiterati e poi dalla legge sulla par condicio che, in diverse versioni e a seconda del tipo di elezione, ne ha vietato la trasmissione nel periodo di campagna elettorale o ha obbligato le emittenti a garantirli gratuitamente ai diversi partiti e candidati. Due norme ispirate da un principio di correttezza e garanzia, che hanno colpito al cuore la natura dello spot politico.

A partire dai primi anni duemila, Internet diventa un canale alternativo per la diffusione degli spot impediti altrove. Ma a poco a poco la grande libertà della rete incide sulle sue caratteristiche formali. Perché limitarsi a 20 o 40 secondi dal momento che lo spazio non si paga, perché realizzarne pochi quando se ne possono “trasmettere” all’infinito, perché spendere grandi budget quando in rete funziona anche il dilettantistico? Una abbondanza che incide sulla qualità e sul formato, non sempre sull’efficacia. E poi, nel rispetto della logica del prosumer propria della rete, i video iniziano anche ad essere realizzati da militanti ed elettori e ripresi dai partiti. In chiave negative e satirica, come celebrativa e poco autoironica.

Infine i social, capaci ogni giorno di trangugiare una gran quantità di dirette e video vi molto spesso auto-prodotti in modalità selfie, realizzati nell’immediatezza dell’evento, senza vincoli di tempo, una regia, una storia, una costruzione narrativa. Al massimo qualche piccolo intervento di post produzione. In occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018, il Pd aveva ancora realizzato due classici spot politici con tanto di attori, storiella, copione e anche Matteo Renzi, destinati alla circolazione nelle sale cinematografiche, che spiccavano in mezzo alla moltitudine di video-social, questa la definizione di questa nuova tipologia di prodotti audiovisivi, circolanti in rete.   

Quest’anno nemmeno questi e la stagione dello spot politico, con le sue estetiche, retoriche e formati, sembra proprio essere terminata.

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